di Damiano Aliprandi
Il Dubbio, 4 settembre 2024
I detenuti di Rebibbia chiedono a gran voce che sia attuata la sentenza della Consulta, quella che ha dichiarato incostituzionale l’articolo 18 della legge sull’Ordinamento penitenziario, nella parte in cui non prevede che i detenuti possano avere colloqui senza il controllo a vista del personale di custodia con il coniuge, il partner dell’unione civile o la persona stabilmente convivente. Dopo il reclamo, rimasto nel limbo, il Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Lazio, Stefano Anastasìa, e la Garante dei diritti delle persone private della libertà personale di Roma Capitale, Valentina Calderone, hanno scritto alla direttrice del carcere di Rebibbia, Maria Donata Iannantuono, per raccomandare l’immediata individuazione di spazi idonei all’effettuazione di colloqui intimi tra i detenuti e i propri partner, così come stabilito dalla sentenza della Corte Costituzionale.
Ricordiamo che si tratta della sentenza numero 10 del 2024 della Consulta, investita da Fabio Gianfilippi, magistrato di Sorveglianza di Spoleto, della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 18 della legge 26 luglio 1975, numero 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) “nella parte in cui non prevede che alla persona detenuta sia consentito, quando non ostino ragioni di sicurezza, di svolgere colloqui intimi, anche a carattere sessuale, con la persona convivente non detenuta, senza che sia imposto il controllo a vista da parte del personale di custodia” : ciò in riferimento agli articoli 2, 3, 13, primo e quarto comma, 27, terzo comma, 29, 30, 31, 32 e 117, primo comma, della Costituzione. L’accoglimento della questione da parte della Corte costituzionale costituisce una vera e propria rivoluzione culturale nella concezione stessa della pena detentiva, vista non più come una necessaria e totale privazione dei diritti del condannato, ridotto a essere una non- persona per quanto riguarda la dimensione affettiva della sua stessa esistenza. Va evidenziato che la Consulta ha significativamente considerato non solo la sfera sessuale, ma l’intera sfera affettiva delle persone condannate e delle persone che con esse hanno rapporti anche di semplice convivenza. Osserva infatti la sentenza che la compressione - sino all’annullamento - del diritto all’affettività dei detenuti si riverbera necessariamente sui loro partner, costretti a subire, anche per periodi lunghi di tempo, una restrizione senza avere colpa alcuna.
Ma finora, nessun carcere si è adeguato. Per la prima volta i detenuti si fanno sentire affinché sia rispettato il principio di legalità costituzionale. Numerosi detenuti del carcere di Rebibbia hanno avanzato richieste alla direzione dell’istituto penitenziario per poter effettuare incontri privati con le proprie mogli o conviventi. In risposta a queste istanze, la direzione aveva comunicato, mediante un avviso del 6 giugno, che la questione era stata sottoposta all’attenzione dell’ufficio dipartimentale superiore, il quale aveva a sua volta istituito un gruppo di studio per valutare e organizzare la situazione.
Trascorso più di un mese e mezzo da tale comunicazione, un gruppo di 55 detenuti ha deciso di intraprendere un’azione più incisiva. Il 31 luglio hanno inoltrato un reclamo formale, datato 22 luglio, ai sensi dell’articolo 35 dell’Ordinamento penitenziario. Questo reclamo è stato indirizzato a diverse figure chiave del sistema penitenziario e di sorveglianza: Giovanni Russo, capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), Maria Donata Iannantuono, direttrice dell’istituto romano; Marina Finiti, presidente del Tribunale di sorveglianza di Roma; e i Garanti Anastasìa e Calderone. Nel loro reclamo, i detenuti hanno denunciato la mancata attuazione della sentenza 10/ 2024 della Corte Costituzionale, chiedendo informazioni precise e date di implementazione di quanto stabilito dalla Corte. La risposta dei Garanti Anastasìa e Calderone non si è fatta attendere. Hanno inviato una comunicazione ai reclamanti, alla direttrice dell’istituto e, per conoscenza, al capo del Dap e alla presidente del Tribunale di sorveglianza. I Garanti hanno sottolineato l’importanza e l’immediatezza dell’applicazione della sentenza della Corte Costituzionale. Hanno evidenziato che la decisione della Corte ha efficacia erga omnes, stabilendo un diritto soggettivo per ogni detenuto a svolgere colloqui riservati con il proprio partner, senza il controllo visivo degli agenti penitenziari. I Garanti hanno inoltre sottolineato che l’attuazione di questa sentenza non può essere rimandata e che l’Amministrazione penitenziaria ha l’obbligo di garantirne l’applicazione. Di conseguenza, hanno rivolto delle raccomandazioni specifiche alla direzione della Casa di reclusione di Roma- Rebibbia. Queste includono l’immediata identificazione di spazi adeguati per i colloqui senza controllo visivo e, in assenza di direttive ministeriali, la definizione di un ordine di servizio interno per regolamentare l’accesso a questa nuova modalità di colloquio.
Questo fatto evidenzia la mancata attuazione di nuove norme nel sistema penitenziario previste dalla Corte costituzionale. Da ricordare che, a seguito dell’ordine del giorno promosso dal deputato Riccardo Magi di + Europa, il governo Meloni si è impegnato a garantire ai detenuti e agli internati il diritto a una vita affettiva.