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di Liana Milella

La Repubblica, 22 giugno 2023

Il procuratore nazionale Antimafia chiede al governo tecnologie più sofisticate per combattere la criminalità organizzata. Coincidenze. Casuali certo. Ma determinanti. Accade che, nell’arco della stessa ora, due facce della giustizia si palesino agli italiani. C’è un ministro, l’ex pm Carlo Nordio, che parla davanti ai costruttori. Regala loro, gratificato da quattro applausi, ciò che si aspettano. Via l’abuso d’ufficio. Giustizia “conciliativa” anziché processi per evasione fiscale. Stretta sulle intercettazioni. E c’è all’opposto il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo Gianni Melillo, per la prima volta davanti alla commissione parlamentare Antimafia della presidente Chiara Colosimo.

Che lo ringrazia per la sua presenza e che, ad audizione finita, diffonderà alla stampa proprio i passaggi di Melillo sulle intercettazioni. Là dove il procuratore dice che non è ipotizzabile “alcun arretramento su questo versante”. E aggiunge: “Personalmente non conosco intercettazioni inutili perché sono disposte da un giudice con un provvedimento motivato procedendo per reati gravi”.

Gesto rilevante quello di Colosimo. Non un retroscena, ma un fatto. L’Antimafia di Colosimo, voluta dalla premier Meloni proprio là dove sta seduta anche a costo di una tempesta politica per via del suo passato (l’amicizia con il Nar Ciavardini), diffonde subito alla stampa le precise parole di Melillo sugli ascolti che contrastano con la stretta invocata dal suo ministro della Giustizia.

E cosa dice Melillo? Un’affermazione netta la sua, non è questo il momento di abbassare la guardia sui mezzi con cui lo Stato garantisce la legalità. Intercettazioni comprese. Tant’è che cita subito la lettera di allarme - che Repubblica riproduce in questa pagina - inviata il 14 giugno a palazzo Chigi e firmata da tutti i procuratori distrettuali italiani proprio sulle intercettazioni. E dove si parla “dell’urgente necessità della più rapida messa in opera delle infrastrutture e dei sistemi informatici necessari ad assicurare al massimo grado l’integrità, la sicurezza e la piena funzionalità dei sistemi di intercettazione delle comunicazioni”. Ascolti da potenziare, non certo da limitare, adeguandoli agli enormi mezzi tecnologici di cui già dispone la criminalità che mette le mani, come dice il magistrato, sui fondi del Pnrr, come dimostrano le inchieste di Eppo, la procura europea che lavora con quella di Melillo.

L’ex procuratore di Napoli spiega di essersi già seduto al tavolo della presidenza del consiglio “secondo le logiche e con i metodi della leale collaborazione istituzionale”. Quindi nessuna guerra, i magistrati parlano già con palazzo Chigi. Perché “una corretta cooperazione istituzionale è strumento prezioso per dare maggiori garanzie ed efficienza”. E qui Melillo pronuncia la frase della giornata: “Personalmente, non conosco intercettazioni inutili”. E aggiunge di non riuscire “a immaginare spostamenti di risorse da un versante investigativo ad un altro, dovendo il sistema della prova digitale essere potenziato nel suo complesso sia sul versante delle garanzie che su quello dell’efficacia delle indagini”. Melillo chiede di “poter proiettare nel cyberspace le indagini sui più gravi delitti, prima che il gap già maturato nel contrasto dei più gravi fenomeni criminali diventi irreparabile, come da tempo chiedono le nostre forze di polizia”. Il tono di Melillo non è certo guerrafondaio perché “ci sarà bisogno di tutti per fare questo duplice salto, sottraendo una materia così delicata ai pericoli propri dei furori polemici e delle grossolane semplificazioni”.

Ma nemmeno mezz’ora prima il Guardasigilli ha polemizzando duramente con la stampa “ostile e faziosa”, pronta a stravolgere le sue idee. Perché “quando si toccano nervi scoperti, come la giustizia troppo lenta e l’incertezza dei rapporti giuridici, ci sono reazioni bizzarre con interpretazioni divergenti”. E ancora: “Anche io sono un giornalista ma vi è differenza tra commento ostile e l’alterazione di ciò che è stato detto e viene riportato in modo alterato”.

La platea è dalla sua parte, e parte la “ola” quando dice che “la ricchezza prima di essere distribuita va creata”. Per questo lui si appresta ad eliminare l’abuso d’ufficio perché produce “un effetto pernicioso a danno del cittadino”. Nega di aver parlato a favore dell’evasione fiscale, ma di aver chiesto “poche e coerenti leggi” e ripropone la giustizia “conciliativa” che teorizza così: “Oggi un imprenditore onesto che assoldasse una schiera di commercialisti per fare la dichiarazione dei redditi pagando fino all’ultimo tributo, non dormirebbe sonni tranquilli”. E quindi meglio che “concili”.