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di Gennaro Grimolizzi

Il Dubbio, 25 settembre 2023

Cancellato l’accesso a istruzione e lavoro: le testimonianze delle giuriste Shafiqa Saeise e Angiza Nasiree, fuggite all’estero dopo la caduta di Kabul. L’Afghanistan, con l’addio degli Stati Uniti nell’estate del 2021, è ritornato ad essere torchiato dall’oscurantismo talebano con un inevitabile aggravamento delle condizioni di vita della popolazione. A pagarne le spese soprattutto le donne. Alcune di loro, avendo avuto la possibilità, si sono trasferite all’estero. È il caso di due giuriste affermate: Shafiqa Saeise e Angiza Nasiree.

La prima lavorava come procuratrice e fece condannare molti talebani, autori di crimini tra i più diversi. Gli stessi talebani, con la fuga degli americani, hanno emesso nei confronti della giovane magistrata la loro sentenza di morte. “Ero una ragazzina - racconta Shafiqa Saeise - quando in Afghanistan i talebani sono stati sconfitti dagli occidentali nel 2001. In quell’anno, con la riapertura dei luoghi pubblici, dei centri di intrattenimento, delle scuole e delle università si è rivista la luce. Lo stesso per l’istruzione delle ragazze e la partecipazione delle donne alle principali attività. Nel periodo, chiamiamolo così, di rinascita del mio Paese, ho avuto l’occasione di crescere, di studiare e di lavorare. Mi manca l’Afghanistan, il poter vivere fisicamente in un luogo geografico che aveva ritrovato speranza e si muoveva verso il progresso”.

Lavorare in Afghanistan e perseguire gli autori di tante violazioni dei diritti umani non è stato facile. “Il ruolo della donna nella società afghana - spiega la giovane procuratrice - è principalmente radicato nella prima tradizione islamica, il Pakhtonwali, che è un tipico codice d’onore che proibisce la presenza di una donna in pubblico e la considera un atto non virtuoso. In effetti, il ruolo della donna nelle forze dell’ordine è di per sé problematico e viene aggravato dalla presenza di entità parallele, come il sistema di giustizia religioso e consuetudinario, che minano la legittimità del sistema giudiziario statale.

Quindi, quegli attori ed entità sono potenti quanto le istituzioni statali. La guerra, la rete criminale, l’economia della droga, il traffico di esseri umani si sono resi e si rendono protagonisti della violazione dei diritti umani all’ombra della tradizione e della religione. La difficoltà che deve affrontare un pubblico ministero donna, come me, nel perseguire gli autori delle violazioni dei diritti umani, in una società del genere, richiede coraggio. L’Afghanistan è un posto molto difficile in cui lavorare per consegnare qualcuno alla giustizia”.

La scelta di lasciare l’Afghanistan è stata inevitabile ed obbligata nell’estate di due anni fa. Troppo rischioso continuare a vivere a Kabul, considerato pure che i talebani hanno subito iniziato a dar vita ad una serie di vendette dopo anni passati lontano dal potere. “L’uccisione sistematica di magistrati - afferma Shafiqa Saeise - da parte di una vasta rete criminale, controllata dai talebani, è stata avviata prima del 2021. Più di 200 pubblici ministeri hanno perso la vita prima che i talebani prendessero il controllo dell’Afghanistan.

Il mio caso è leggermente diverso. Ho formato giovani studenti in materia di diritti umani e ho lavorato per le vittime della guerra. Mi sono occupata anche dei crimini di guerra commessi dalle forze talebane nel distretto di Malistan, la località in cui sono nata. In quel caso ho indagato e passato le prove raccolte alla Commissione delle Nazioni Unite. L’Onu in effetti ha riconosciuto che i crimini di guerra sono stati commessi. Sapevo che i talebani alla fine sarebbero venuti a conoscenza del mio lavoro e che le conseguenze sarebbero state inevitabili per me e la mia famiglia. Così, dopo aver trascorso alcuni giorni a casa dei miei parenti, non ho avuto altra scelta e ho lasciato l’Afghanistan il 25 agosto 2021. Molto tempo dopo ho saputo che i talebani hanno emesso una sorta di mandato di assassinio nei miei confronti”.

Dall’Italia Saeise osserva quanto accade in Afghanistan. “La prospettiva - aggiunge - che i talebani hanno tracciato per le future generazioni afghane è chiara. La Commissione per i Diritti Umani che monitorava quanto accadeva nel mio paese è stata sciolta. Il ministero per gli affari femminili è stato trasformato nel ministero per la promozione della repressione del vizio e la promozione della virtù. In altre parole, è stato istituito il ministero per la soppressione dei diritti delle donne e della democrazia. Il ruolo della legge è diminuito, l’istruzione delle ragazze e l’occupazione femminile sono sospese. Abbiamo fatto un salto nel buio, un salto in una età oscura che annichilisce la donna e i diritti umani”.

Anche Angiza Nasiree è fuggita dall’Afghanistan. La sua analisi parte, prima di ogni cosa, dai rapporti tra i talebani ed altri gruppi criminali. “I talebani - dice - sono ancora pericolosi e violenti. Non hanno alcun rispetto per le persone, specialmente per le donne. Non hanno tagliato i loro legami con Al Qaida e altre organizzazioni terroristiche. Chiedono l’attuazione della legge della Sharia non solo in Afghanistan, ma ovunque”. Nasiree adesso vive in Canada. È stata consigliere politico nell’Ambasciata dell’Afghanistan a Washington DC dal 2017 al 2020 e ha lavorato per oltre tredici anni con il ministero degli Affari esteri afghano. Si è laureata nel 2006 in Giurisprudenza e Scienze Politiche nell’Università di Kabul. Nel 2012, dopo aver vinto una borsa di studio, si è trasferita negli Stati Uniti per frequentare un master nel Washington College of Law dell’American University. In Afghanistan ha vissuto gli anni dell’oscurantismo talebano, agli inizi del Duemila. Un periodo durante il quale le è stato impedito di andare a scuola. “Questa ingiustizia - commenta - tuttavia, mi ha rafforzato. Non mi ha impedito di seguire i miei sogni, di raggiungere gli obiettivi che avevo in mente e di continuare ad amare sempre di più il mio Paese”.

Angiza si sforza di immaginare un domani per l’Afghanistan: “Se il mio paese rimarrà sotto il controllo dei talebani, rischia di non avere futuro. Gli afghani hanno già vissuto la brutalità del loro regime oltre vent’anni fa. Io era una studentessa. Ricordo ancora il giorno in cui ci hanno detto che non potevamo più andare a scuola e siamo rimasti tutti a casa per cinque anni. Non riesco ancora a credere che i talebani siano tornati e abbiano ripreso il controllo del Paese. È ancora troppo presto per prevedere cosa accadrà. La maggioranza dei miei connazionali, ne sono certa, vuole un governo che possa rappresentare ogni afghano. La gente vuole giustizia, uno Stato di diritto, sicurezza, cibo, servizi sanitari ed educativi. Vuole la libertà”.