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di Andrea Venanzoni

Il Riformista, 10 novembre 2023

Tra la brutalità delle forze di polizia del Pakistan e la morsa della miseria che attanaglia l’Afghanistan, sommata all’oppressione del regime dei Talebani, c’è un’intera umanità alla deriva. Lungo le alture battute da un gelido vento al confine tra Pakistan e Afghanistan, si agita una umanità alla deriva, incalzata dalla brutalità delle forze di polizia del Pakistan: centinaia di migliaia di profughi in fuga dal regime dei Talebani e dalla morsa della miseria che attanaglia un Paese roccioso e montuoso che pure nel corso dei secoli ha vinto imperi e spezzato il giogo di potenze coloniali e che oggi invece si aggomitola nella disperazione portata dall’islamismo radicale degli ex studenti coranici provenienti proprio dal confinante Pakistan.

L’avviso, con scarso preavviso, brutale nello scenario che avrebbe avviato e realizzato, era giunto ad ottobre avanzato; le autorità pakistane hanno deciso di espellere dal Paese gli afgani privi di documenti e di titoli che ne legittimassero la permanenza in Pakistan. Numeri impressionanti, da esodo biblico; si parla di quasi un milione e seicentomila afgani che rischiano di essere allontanati con la forza, mentre si stima che a fine ottobre se ne siano volontariamente allontanati già quasi duecentomila, spaventati dai metodi scarsamente umanitari mostrati dalla polizia pakistana. Non si va troppo per il sottile, da quelle parti. Testimonianze e video che arrivano da quelle latitudini sono impressionanti, non solo per queste distese brulicanti di una umanità fusa in migliaia di corpi, senza speranza e senza più lacrime da versare, ma per gli orridi resoconti di furti, rapine, violenze, sopraffazione, angherie a cui i profughi vengono sottoposti. Come se non bastasse, queste centinaia di migliaia di individui, uomini, donne, bambini, anziani, un intero popolo, mancano di tutto; cibo, vestiti, acqua. Le condizioni igieniche sono tremende e il clima in quelle zone soggetto, come noto, a repentini mutamenti, con passaggi da un caldo torrido e desertico al gelo innevato delle alture.

Per rendere una sia pur vaga idea quantitativa del disastro che si sta consumando nella generalizzata indifferenza dell’opinione pubblica, si immagini la popolazione della intera città di Milano, a cui aggiungere quella di Catania, lasciata a bivaccare in una terra di nessuno, senza aiuto, ausilio, conforto, medicine, mezzi di sussistenza e di sostentamento.

E proprio la indifferenza appare una delle caratteristiche più odiose per un Occidente che ha eretto i diritti umani a vessillo e stella polare del suo operato, un Occidente in cui giornali, politici, università, piazze, come ha sottolineato Federico Rampini, sono sempre pronti a indignarsi, a divampare, a reclamare giustizia, per la negazione di un qualunque vero o presunto diritto o per i respingimenti alle frontiere e adesso pure per i centri di permanenza degli immigrati in Albania, serbando poi invece un indecoroso, claustrale silenzio su quella che è una delle più massicce e inumane deportazioni di massa mai viste.

Gli afgani fanno poca notizia. Sperduti in quel quadrante geografico anche scarsamente individuabile da molti sulle cartine geografiche, di scarsissimo appeal mediatico-politico, senza grandi difensori della loro causa, sembrano contare assai meno della furiosa sarabanda montata per Gaza e per la causa palestinese, spesso pure trascolorante nel sostegno al vessillo di Hamas. Per questi sconfitti dalla storia e dalla ipocrisia dell’Occidente che fa gargarismi coi diritti umani, per questi miserabili, nel senso che fu proprio di Hugo, nessuno srotola striscioni dai balconi, nessuno organizza petizioni, con o senza asterischi, nessuno occupa le facoltà o interviene nei salotti televisivi, reclamando un sia pur minimale briciolo di attenzione.

Di certo non va meglio nemmeno nel mondo islamico, dove però l’ipocrisia si era già snudata con gli stessi palestinesi. Tanto roboanti e minacciose erano state certe dichiarazioni di sostegno alla popolazione di Gaza, quanto nullo era stato l’interesse concreto ad ospitare i rifugiati in fuga da Gaza e da Hamas, più che dalle bombe israeliane.

E così poco sorprende constatare quanto nulla davvero importi della sorte di questi loro sfortunati correligionari, che vengono espulsi, cacciati, sovente bastonati, da altri loro correligionari, in un corto circuito la cui prima vittima è il senso di umanità. Le sinistre mondiali poi, quelle che hanno caldeggiato qualunque genere di accoglienza, e che si sono battute contro le politiche a loro dire razziste e tiranniche di respingimenti, di contingentamento e secondo le quali non esistono confini o barriere o perimetri nazionali, muoiono lungo quella direttrice che divide Afghanistan e Pakistan e dentro cui si perde, si dipana, si attorciglia un oceano di corpi alla deriva, abbandonati e dimenticati da tutti.

E viene quindi il sospetto che una certa richiesta di umanità fosse solo strumentale formula di polemica politica, piccina e contingente. E ora in questo oblio collettivo, si dimentica la lezione formulata da Kant, “agisci in modo da considerare l’umanità, sia nella tua persona, sia nella persona di ogni altro, sempre anche come fine, e mai come semplice mezzo”.

La Polizia di Milano lo ha arrestato su mandato di cattura internazionale per associazione terroristica. È stato fermato in occasione dei controlli volti alla prevenzione e alla repressione dei reati sulle linee metropolitane, mostrandosi fin da subito aggressivo nei confronti degli agenti e pronunciando a voce alta la frase “Allah Akbar”. E, come se non bastasse, ha provato anche ad afferrare dal suo zaino un coltello con una lama di oltre 12 centimetri. L’identità dell’uomo è stata presto ricostruita: un algerino di 37 anni ricercato in Algeria perché ritenuto appartenente alle milizie dello Stato Islamico oltre che impiegato nel teatro bellico siro-iracheno. Sarà estradato in Algeria il prossimo 22 novembre; in attesa è stato portato alla casa circondariale San Vittore. L’arresto, avvenuto in seguito alla fase dei controlli del caso, è scattato la sera del 29 agosto nella stazione della metropolitana di Cadorna. Negli atti si legge che il 37enne avrebbe non solo tentato di eludere il controllo alla richiesta di documenti ma avrebbe anche spintonato gli agenti. Nel 2015 avrebbe deciso di lasciare l’Algeria per andare a combattere in Siria per l’Isis. Matteo Salvini, vicepresidente del Consiglio e ministro delle Infrastrutture, sui propri canali social ha ringraziato le forze dell’ordine per il lavoro svolto. “Avanti così, inseguiamoli uno per uno e rispediamoli a casa”, ha affermato l’ex titolare del Viminale. Per Giuseppe Sala, sindaco di Milano, l’arresto dell’algerino è “un’ottima cosa”. Riccardo De Corato, deputato di Fratelli d’Italia ed ex vicesindaco del capoluogo lombardo, ha invitato a tenere alta la guardia alla luce della pericolosa fase storica che l’Occidente sta attraversando: “A Milano ci sono circa 150.000 musulmani: costoro, che si radunano nelle moschee della città e solo nella nostra ce ne sono 12 abusive, chi li controlla? Chi verifica ciò che fanno nei loro luoghi di culto e quello che dicono gli imam nei sermoni?”.