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di Lucrezia Ercolani

Il Manifesto, 6 settembre 2023

Venezia 80. La regista polacca presenta, in concorso, il suo film “The Green Border”. Alla fine della conferenza stampa un minuto di silenzio per i 60.000 che negli ultimi anni sono morti cercando di entrare in Europa.

“Il rischio del totalitarismo in Europa non è mai scomparso, è stato solo messo a tacere, tolto dalla nostra “agenda” afferma Agnieszka Holland quando presenta alla stampa il suo Green Border (titolo originale Zielona granica). La regista polacca usa parole dure - anche se mai quanto le immagini del film dove chi, stremato e in cerca d’aiuto, viene calpestato, deriso, gettato dall’una e dall’altra parte del filo spinato.”Il vaccino dell’Olocausto è svanito, l’Europa ha paura e sta perdendo le sue convinzioni, il futuro potrebbe essere molto simile al passato. Credo anzi che sarà proprio la crisi dei rifugiati, iniziata ormai quasi dieci anni fa, a imprimere la forma al nostro avvenire. La verità è che l’Europa, da culla della democrazia, si è rivelata teatro di terribili crimini contro l’umanità”. Quando le viene chiesto il ruolo del suo film e del cinema in generale in questo scenario, risponde: “Abbiamo voluto affrontare questa storia da diversi punti di vista perché sentivamo mancare una narrazione su ciò che accade al confine tra Polonia e Bielorussia. Il cinema europeo non racconta abbastanza il mondo di oggi, deve prendersi nuovamente questa responsabilità”.

Una domanda sollecita la regista sul confronto, inserito in Green Border, tra la diversa accoglienza riservata ai profughi del Medio Oriente e a quelli ucraini. Come sono spiegabili atteggiamenti così distanti tra loro? “Sappiamo che l’essere umano è complesso e che può fare il bene così come il male. Al di là di individui che provano piacere nella persecuzione, la direzione in cui si esprime questo potenziale nel 99% della popolazione dipende da molti aspetti tra cui la politica, i governanti, la chiesa, i media”.

E proprio sul ruolo dei media Holland prosegue: “In Polonia ce ne sono alcuni molto validi che hanno documentato la crisi dei migranti con onestà, ma quando poi il governo ha istituito la “zona rossa” intorno al confine, vietando l’accesso in virtù dello stato di emergenza, in pochi hanno protestato. Per questo definirei i media nel loro complesso pigri e codardi rispetto a questa situazione”.

Ad affrontarla a viso aperto ci sono invece individui che si organizzano per portare aiuto, spesso rischiando la propria libertà: è il lato positivo e ottimista del film, “l’altra Europa”. La regista afferma di aver scelto l’attrice Maja Ostaszewska anche per essersi esposta in prima persona in difesa delle organizzazioni umanitarie.

L’interprete aggiunge: “Fare questo film è stato importante, ma anche difficile. Quando le riprese terminavano non potevo non pensare che a 200 km da noi c’erano persone che erano veramente in quella condizione disperata, cercando un aiuto che spesso viene negato. Io credo che il discorso non sia politico ma innanzitutto umano, si tratta di rispondere a una domanda antichissima: cosa facciamo quando qualcuno in pericolo bussa alla nostra porta?”.

Prima di terminare l’incontro, la regista legge una lettera scritta per l’occasione da Grupa Granica, realtà che riunisce chi lotta per l’accoglienza in Polonia. Nel testo si dice che dal 2014 sono morte circa 60.000 persone cercando di entrare nell’Ue, di cui un terzo hanno trovato la loro fine nel Mar Mediterraneo. Si chiede alla sala un minuto di silenzio, rispettato con partecipazione. Resta ora da vedere quali saranno le reazioni in Polonia per un film che punta apertamente il dito contro il governo.