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di Leonardo Martinelli

La Repubblica, 4 giugno 2023

Centinaia di subsahariani passano la frontiera ogni giorno per raggiungere Kasserine, una delle città tunisine più povere, nella speranza di poter raggiungere da lì il porto di Sfax e imbarcarsi per Lampedusa. Stringe le scarpe fra le mani, per non consumarle troppo. “Le devo risparmiare”, dice Russell, 22 anni. Viene dal Camerun e cammina, ciabatte di gomma ai piedi, sui binari di un treno che non corre più da decenni. Quella ferrovia, ormai piena di spazzatura, è la discarica di tutti: attraversa Kasserine, città all’estremo Ovest della Tunisia, la prima arrivando dall’Algeria, al di là di aride e misteriose montagne. Russell marcia con forza e orgoglio: “Mancano appena 200 km per arrivare a Sfax”. Da lì Lampedusa sarà solo a una notte in barca, “anche se io non so nuotare”.

Più in là c’è Issa, 17 anni, della Sierra Leone. Ha percorso più di 5mila km negli ultimi quattro mesi. “Sono arrivato con i passeur fino al confine meridionale dell’Algeria. Poi ho continuato a piedi o certe volte sono riuscito a prendere un pullman. Ho anche lavorato per due mesi come muratore”. Al pari degli altri, parla del suo sogno d’Europa come di un “progetto”, finanziato dalla famiglia (l’equivalente di 1200 euro per Issa, che è un tecnico specialista di antenne tv e “io voglio solo lavorare”). Sono centinaia quotidianamente a scendere su queste strade, spesso in gruppi di diversi Paesi, amici per qualche giorno o forse per una vita. Issa ci ha messo due giorni per arrivare da Tebessa, l’ultima città algerina. “Appena passato il confine, un gruppo di ragazzi tunisini mi ha aggredito. Mi hanno rubato i soldi che mi restavano e il cellulare. Non ho più niente”. In tanti vagano attraverso il bosco di pini sopra Haidra, a cavallo della frontiera. In questo maggio inspiegabilmente gelido e piovoso, nove migranti sono stati ritrovati morti, sfiniti dalla fame e dalla stanchezza.

Viaggio a Kasserine, al confine tra Tunisia e Algeria dove passa la rotta dei migranti verso l’Italia

Loro, comunque, i giovani dell’Africa subsahariana, restano forti e solidali. E marciano verso il mare: è l’ultimo rush finale. Sulla strada che scivola via da Kasserine, una delle città più povere della Tunisia, a Sbeitla, località dalle splendide rovine degli antichi romani, ai distributori di benzina ufficiali gli inservienti vendono monete antiche dei tempi di Vespasiano, sicuramente false, ai turisti italiani e francesi. Mentre madri tunisine e le loro bambine raccolgono sui carretti trainati da asini i fichi d’India, un modo per sopravvivere, facendosi largo tra i sacchetti di plastica impigliati nelle spine. Intanto i giovani neri continuano a camminare, fra i capretti sgozzati, esposti dai ristoranti, e le taniche colorate di benzina in vendita, che brilla sotto il sole, portata illegalmente dall’Algeria (unica attività economica che funzioni a Kasserine è il contrabbando dal Paese vicino, di tanti prodotti, meno cari perché sovvenzionati dallo Stato algerino, o dell’hashish, in arrivo dal Rif marocchino). Marciano, mentre i mezzi militari si dirigono verso le montagne a stanare gli ultimi guerriglieri jihadisti che vi si nascondono (all’esercito tunisino non importa niente dei migranti). Loro camminano, inesorabili.

È anche a causa di questa nuova rotta dei migranti che gli arrivi a Lampedusa dalla Tunisia sono esplosi dall’inizio dell’anno. “Partire in mare dalla Libia è diventato più pericoloso, per il decreto italiano sulle navi Ong - spiega Romdhane Ben Amor, dell’associazione Ftdes -. E passare via terra il confine tra Libia e Tunisia, supercontrollato, è ormai troppo difficile. Così i migranti in arrivo dal Sudan e dal Corno d’Africa, transitano in Libia, passano in Algeria e risalgono la frontiera con la Tunisia fino all’altezza di Kasserine. Lì arrivano pure i migranti dall’Africa occidentale, dopo aver attraversato tutta l’Algeria. Alla frontiera i controlli sono quasi inesistenti: gli algerini li lasciano passare”.

È sera a Kasserine. E Patrick, 35 anni, del Camerun, non sa più cosa fare. È rimasto scioccato dalla miseria della città. “In Algeria stanno meglio, io lì ho anche lavorato. Forse è meglio se ci ritorno”. Ma Mohamed Taher Khadraoui lo sconsiglia: “Ti hanno fatto passare, ma non ti permetteranno di ritornare”. Moahmed, 52 anni, è ingegnere ma anche uno dei principali rappresentanti della società civile di Kasserine. Con la sua associazione (Amal, in arabo “speranza”), vuole creare centri di assistenza per questi migranti. Si scaglia contro il suo presidente, Kais Saied: “Non osa dire nulla agli algerini, che lasciano passare i migranti, perché quel Paese ci dà il gas naturale a prezzo scontato. Nonostante questo, la polizia tunisina ogni tanto fa qualche retata: portano al commissariato di Kasserine i subsahariani. Vogliono farsi belli con l’Italia e l’Europa, che chiedono la stretta sugli africani. Ma pochi giorni dopo li libereranno. In Algeria di certo non potranno rimandarli. Si fa politica sulla pelle di questi ragazzi, che camminando sulle strade, senza assistenza, verso il loro destino”.

Ecco, una macchina della polizia sta arrivando. Patrick fugge via fra gli olivi. La mattina aveva incrociato Chiheb, un giovane di Kasserine. Ha 25 anni, è un pizzaiolo disoccupato. “Guardo a questi migranti con compassione. Certe volte gli do dell’acqua o dei biscotti”. Poi Chiheb si era rintanato tutto il giorno al Lumberjack, con la musica a palla e i video a ruota sulla tv, le finestre chiuse e l’arredamento di legno: ti potresti immaginare in un pub del Montana. Con due amici sta aspettando il via libera di un passeur per andare a Sfax e salpare per l’Italia. “C’è maltempo nelle ultime settimane, non è ancora possibile”. “Siamo come loro, i subsahariani che camminano”, in un certo senso, però, privilegiati, con le famiglie che pagheranno un passaggio su un’imbarcazione di legno e non il barchino metallico low cost e pericolosissimo degli altri. “Ma alla fine saremo tutti migranti”.

Pochi giorni dopo, i giovani subsahariani in transito a Kasserine sono arrivati a Sfax, scalcinata capitale economica della Tunisia. In tanti gravitano al mercato di Bab Jebli, una delle porte della Medina. Alcuni di notte dormono nel parco accanto. Non esistono centri di accoglienza in città. “Sono quasi due anni che il grosso del flusso migratorio proviene dall’Algeria. Ed è un continuo ricambio rispetto a quelli che partono per l’Italia”, osserva Alix Loic Oyono. È originario del Camerun, ma è un ingegnere. Ha 29 anni e da sette vive a Sfax. Ha creato una sua azienda, come altri subsahariani. Dimostra con la sua storia che perfino nella Tunisia della crisi si può fare qualcosa. Alix porta aiuti alimentari ai migranti in difficoltà. “Ci sono sempre più sudanesi”, osserva. Gamar, 21 anni, è fuggito dal Darfur due mesi fa, a causa degli scontri violenti nel suo Paese. “Nel passato avevo già vissuto in Libia, ma ora voglio andare in Italia”. Ci ha già provato una volta con un barchino: è sopravvissuto, ma la guardia costiera tunisina lo ha riportato a riva. “Sto lavorando per racimolare i soldi e tentarci ancora”. Fa il muratore ed è pronto a fare qualsiasi cosa in Italia. “In Sudan ho dovuto abbandonare la scuola da piccolo. Mi piacerebbe anche ricominciare a studiare”.