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di Mario Di Vito

Il Manifesto, 1 dicembre 2023

Il ministro prova a schivare le polemiche, ma la sinistra lo punge. Intanto il caso Delmastro continua ad agitare la maggioranza. La strada che prima o poi porterà alla riforma della giustizia è lastricata di buone intenzioni e di cattivi pensieri. Le prime sono quelle di Nordio, che ieri al plenum straordinario del Csm ha tentato la distensione con la giurisdizione sotto gli occhi di Sergio Mattarella. I secondi sono di una parte molto consistente della maggioranza, convinta che l’offensiva giudiziaria si manifesterà implacabile alla vigilia delle europee e già furiosa per il rinvio a giudizio del sottosegretario Andrea Delmastro, difeso a spada tratta come un eroe del libero pensiero (e della libera circolazione di documenti riservati).

Nordio si è presentato davanti ai togati e ai laici del Csm rassicurandoli sia sul piano delle spese (saranno rinnovati i contratti ai precari dell’ufficio del processo) sia sul piano dell’azione politica: “A questo mondo non vi è nulla di eterno tranne le parole del Signore. Il resto è mutevole. E cosi è la Costituzione. Ma posso assicurare che se un domani dovesse essere cambiata per quanto riguarda l’assetto della magistratura, mai e poi mai vi sarebbe una soggezione anche minima del pm al potere esecutivo”. Non una parola sulla separazione delle carriere, anche se tutti sanno che presto o tardi è lì che andrà a parare il governo. Mattarella, che ha presieduto la seduta del plenum, non si è espresso.

Non che qualcuno se lo aspettasse, ma la sua irritazione per le ultime polemiche innescate dall’intervista rilasciata da Guido Crosetto domenica scorsa al Corriere è materia di discussione tra le toghe. Lo sgarbo istituzionale, infatti, è evidente: il Capo dello Stato è anche il presidente del Csm e la delegittimazione a mezzo stampa della giurisdizione lo tira in ballo direttamente. Nordio tutte queste cose le sa e infatti ha detto meno della metà delle cose che pensa davvero, nel tentativo di separare il dibattito dalle polemiche. La togata di Magistratura Democratica Domenica Miele, però, ha rimesso al centro la questione di cui la sinistra giudiziaria discute da mesi, e cioè il ruolo della giurisdizione in un momento in cui la tendenza alla deriva plebiscitaria è dichiarata: “La tutela delle persone vale anche nei confronti dei poteri pubblici, anche quando sostenuti dalla forza del consenso”. Tullio Morello, di Area, ha fatto presente che la spinta all’interpretazione letterale delle leggi non basta in un ordinamento a più livelli come quello dell’Italia, che nonostante tutto continua ad essere un paese europeo.

Da Magistratura Indipendente, la destra del Csm, è sì arrivata una sponda al governo, ma senza dire granché sulla riforma. Per la consigliera Paola D’Ovidio, infatti, le priorità sono due: la specializzazione dei magistrati e una revisione della geografia giudiziaria “per risolvere il problema dei tribunali troppo piccoli”. Come sempre, i toni più alti li hanno usati i laici. Enrico Aimi (Forza Italia): “Il magistrato non può stravolgere le leggi o creare nuovi diritti, indossando i panni di avanguardia militante dei propri ideali”.

Felice Giuffrè (Fratelli d’Italia): “La magistratura deve essere ossequiosa della separazione dei poteri e dei confini, anche nelle tecniche di interpretazione degli atti normativi approvati dal parlamento”. Un riferimento esplicito al caso della giudice Apostolico e alla sua disapplicazione del decreto Cutro, questione peraltro ancora aperta. A chiudere la girandola di interventi, il vicepresidente del Csm Fabio Pinelli, laico di centrodestra. Dopo il solito elenco di mancanze e di richieste, un invito a Nordio: “Ricordi alla politica che dobbiamo confrontarci con reciproco rispetto, perché in democrazia convivono il soggetto che fa le regole e l’altro che ne controlla il rispetto”. Qui l’allusione è a Crosetto, che stamattina sarà alla Camera per rispondere a un’interrogazione di + Europa sui complotti giudiziari che evocati sul Corriere.

Pace fatta? Non proprio, il processo a Delmastro continua ad agitare le acque della maggioranza: nessuno aveva dubbi sul fatto che sarebbe arrivato un rinvio a giudizio e la difesa del sottosegretario è di quelle deboli: “La procura voleva proscioglierlo, il gup ha deciso diversamente. È un fatto strano”, dicono in molti, fingendo di non conoscere la procedura penale. Altri si rifugiano sotto l’ombrello del garantismo, perché un processo non è una condanna e dunque le dimissioni che chiedono Pd, M5s e Avs sono irricevibili. Delmastro, in tutto questo, ostenta tranquillità. Dimissioni? “Assolutamente no. Io sono uno dei pochi imputati che andrà a processo giocando nella stessa squadra del pm che ha chiesto l’archiviazione una volta e il proscioglimento due volte”. Riccardo Magi (+Europa), dopo aver ricordato con Angelo Bonelli dei Verdi che i famosi verbali diffusi dal sottosegretario erano segreti perché a loro - che pure sarebbero deputati - non sono stati forniti, chiarisce infine che la vicenda è politica: “Il rinvio a giudizio non è una condanna ma Delmastro è inadeguato a ricoprire un ruolo così delicato”. Per questo farebbe meglio ad andare via.