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di Rosaria Amato

La Repubblica, 17 dicembre 2023

Da Nord a Sud, da Milano a Palermo, chi ha perso o sa che perderà il reddito di cittadinanza chiede una cosa sola: poter lavorare. Un lavoro vero, pagato decentemente, in regola, perché molti degli ex percettori, soprattutto nel Mezzogiorno, si sono dovuti adattare anche al nero, e non avranno la pensione. Sui corsi di riqualificazione c’è molto scetticismo: “Fateli dentro le aziende che hanno bisogno di lavoratori”.

Quando le hanno tolto il reddito di cittadinanza Barbara Montauto, 52 anni, non lo ha rimpianto particolarmente: “Erano 40 euro al mese, non ci pagavo neanche la bolletta della luce”. Barbara, che vive a Milano con suo figlio, ha infatti un contratto part-time di 20 ore settimanali, che fino a quando non si è separata doveva bastare anche a mantenere suo marito, disoccupato. “Quando ci siamo separati a lui hanno dato il reddito, 500 euro al mese. Lui aveva lavorato a lungo come rappresentante, ma poi ha perso il lavoro e non è riuscito a ritrovarne uno dignitoso: semmai lo trovano gli stranieri, se si accontentano di 300 o 400 euro al mese per 12 ore al giorno”.

Con i 500 euro del reddito l’ex marito di Barbara riusciva anche a dare un piccolo contributo per il mantenimento del figlio, ma “ora gli hanno tolto l’assegno, e lui continua a non avere un’entrata”. E così tutto continua a ricadere sugli 800, 850 euro al mese guadagnati da Barbara: “Io non dico ridateci il reddito. Dico: dateci un lavoro, però un lavoro vero, pagato bene. Perché ci sono offerte che sì, rendevano più conveniente tenersi il reddito e guardare la Tv tutto il giorno. E da quando gli hanno tolto il reddito mio marito non ha ricevuto nessuna proposta di lavoro, né decente né indecente”.

Giovanni Pizzo. “Scartato per l’età. Grazie al Rdc mi ero risollevato”

Giovanni Pizzo, 56 anni, per 30 anni ha lavorato come ragioniere e assicuratore, e poi magazziniere e commesso di tabaccheria, “perché anche se avevo un diploma, a Palermo c’è sempre stata penuria di lavoro, e se arriva un treno lo devi prendere”. Ma poi nel 2019 è rimasto disoccupato, e l’anno dopo si è separato dalla moglie: “Ho dormito per dieci mesi in un box. Poi mi sono tirato su, grazie a un amico ho trovato una casa in affitto e dal 2021 ho ottenuto il reddito di cittadinanza. All’inizio erano 408 euro al mese, e nel 2022 sono passati a 780”. Una boccata di ossigeno, che non escludeva il tentativo di trovare lavoro, “ma mi dicevano di non farmi illusioni, che ormai ero vecchio”. Poi arriva lo stop al reddito: “L’ultimo contributo mi è arrivato a luglio. Poi per fortuna i servizi sociali mi hanno pagato l’affitto per un anno. E quando vado a prendere mio figlio a scuola, la mia ex moglie non mi nega un piatto di pasta. Al Caf di Davide Grasso ho incontrato anche persone che adesso hanno difficoltà a mangiare tutti i giorni”. Da gennaio frequenterà un corso di riqualificazione: “È una presa in giro, m’insegneranno a fare il magazziniere, ma io già lo so fare, e lo facevo bene. Voglio un lavoro, ma lo voglio qui, non lascio mio figlio, che è autistico, e ha bisogno del papà”.

Giuseppe Gurrera. “Offerte da fame: turni da 12 ore e 500 euro al mese”

“Io non voglio il reddito, voglio lavorare, e pagare le tasse. Ma il reddito mi ha dato la possibilità di vivere. Da gennaio prenderò un assegno di 380 euro, e di affitto ne pago 350, in una casa di 55 metri quadri in una borgata di Palermo”. Giuseppe Gurrera ha lavorato tutta la vita, ma rischia di non avere neanche la pensione: “Ho 19 anni di versamenti, devo arrivare almeno a 21”. Prima direttore commerciale Mondadori: “Vendevamo enciclopedie, ma con l’avvento di Internet ci hanno chiusi”. Poi titolare di una libreria in centro, ma anche lì si vendeva sempre meno. Infine ha ripiegato su un corso per operatore socio-sanitario, ma anche lì il lavoro è poco, e quasi sempre in nero: “Mi offrono 500 euro al mese per 12 ore di lavoro al giorno”. Giuseppe è furibondo con il governo, che accusa i percettori di reddito di non voler lavorare: “Io ho anche riferito al Caf del contratto di lavoro di mio figlio. Anche se poi devono spiegarmi quale figlio se trova un lavoro poi mantiene anche i genitori, e che senso ha quindi in quel caso decurtare il reddito”. La soluzione ce l’avrebbe, per far trovare lavoro ai percettori: “Basterebbe che chiunque cerca un lavoratore lo faccia attraverso i centri per l’impiego, e sia costretto così anche a metterlo in regola”.

Salvatore Caputo. “Una vita in nero. I corsi professionali sono stati inutili”

“Vengo da una famiglia numerosa, e ho cominciato a fare lavoretti a 7-8 anni. Ho sempre lavorato in nero: in 40 anni ho avuto solo due contratti regolari, uno da comparsa, e l’altro da magazziniere, per un anno. Ma poi è morto il titolare, e mi hanno licenziato”. Quella di Salvatore Caputo, 48 anni, di Napoli, è una storia di lavori precari: pizzaiolo, venditore ambulante, fino a quando, nel 2019, non è arrivato il reddito di cittadinanza. “Quando l’ho ottenuto ero pieno di gioia, ma non perché mi davano il contributo: è perché mi avevano detto che il reddito mirava al reinserimento nel mercato del lavoro”. Ma i corsi professionali si sono rivelati inutili: “Io dico, volete davvero fare dei corsi per far trovare lavoro alle persone? E allora fateli direttamente all’interno delle aziende che hanno carenza di personale, così che alla fine del corso i lavoratori vengano assunti”. Il reddito è stato comunque un sostegno per la famiglia, “perché io ho due figlie disabili, di 16 e 23 anni”, confessa Salvatore. All’inizio di quest’anno finalmente la svolta: “Un privato mi ha offerto un lavoro, con contratto a 40 ore settimanali”. Una liberazione, e lo stop al reddito: “Sono andato subito all’Inps con la busta paga. Io ho sempre detto che la vera dignità è il lavoro”.