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di Luca Borioni

ideawebtv.it, 2 marzo 2023

Paola Ferlauto, Garante dei detenuti per il comune di Alba: “Comunicare con le competenze giuste”. Appena nominata dal sindaco Carlo Bo, la nuova Garante comunale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale di Alba è Paola Ferlauto. In questi giorni ha avviato i primi colloqui con i detenuti.

Dottoressa, può spiegarci qual è il compito di un Garante?

“È un compito istituzionale. Nel mio caso sono stata nominata dal Comune, ma c’è enorme collaborazione con le figure del garante regionale e nazionale. Il garante comunale agisce sul territorio, incontra detenuti più di quanto possa fare un regionale che segue tutte le carceri. Dal punto di vista normativo, il garante è quella persona che rileva se ci sono criticità o diritti lesi, di qualsiasi natura. È una figura che fa da tramite con l’esterno”.

Accoglie le segnalazioni dei detenuti? Di quale genere?

“Di ogni tipo. Spesso il detenuto vive in una cella due metri per tre in cui ogni problema risulta amplificato, e magari la condivide con un compagno che sconta una pena più lunga. Teniamo conto poi che spesso la scolarità è ridotta. Per il detenuto sapere che all’esterno c’è il garante che non è nemico, è qualcuno a cui esporre le problematiche, è una prospettiva importante”.

Che cosa ha capito svolgendo questo incarico?

“Che quella dimensione va compresa. Ricordo un detenuto che era uscito in permesso dopo una lunghissima pena, mi colpì il fatto che non riuscisse a camminare in strada, il marciapiede per lui era troppo grande. Noi andiamo di corsa e diamo tutto per scontato, ma questa persona procedeva a tentoni contro i muri. Del resto, era entrato in carcere che si usavano le macchine da scrivere e ne era uscito trovando i computer”.

Qual è oggi la condizione di chi vive in carcere?

“Sono stata infermiera per 12 anni al carcere di Alba, quando fu chiuso passai in ospedale prima di fare domanda come garante. Per un recluso anche un prelievo del sangue è difficile. Noi telefoniamo al medico di famiglia per farci prescrivere un emocromo, lì devi rivolgerti al medico ma magari non lo trovi subito, la richiesta poi deve essere autorizzata dal magistrato - a parte le urgenze, ovvio - e il percorso è articolato. Per dire le difficoltà. La cosa positiva è che molti detenuti, “grazie” proprio alla permanenza in carcere, hanno imparato a leggere e scrivere. Negli istituti di pena la scolarità è fattibile. Ricordo che ad Asti due anni fa si sono diplomati dodici detenuti. Uscire con un po’ di cultura in più è importante. Negli istituti si cerca quindi di dare spazio all’area cultura e si praticano corsi. Ad Alba era rinomato quello sulla coltivazione della vite”.

Com’è la situazione all’interno del “Giuseppe Montalto”?

“Ho avviato i colloqui in questi giorni. Qui ci sono gli internati: hanno scontato la pena ma vista la pericolosità sociale, il giudice ha aggiunto un periodo di detenzione in più. Ad Alba ce ne sono circa 40, non tantissimi ma comunque da seguire, puntando sulla rieducazione e sulla possibilità di imparare un mestiere. La presenza di detenuti con diverse problematiche psichiatriche e personali richiede che gli agenti di polizia giudiziaria siano maggiormente formati. Primo, perché la formazione in tutti i campi è importante, poi perché nessuno nasce tuttologo: la questione della comunicazione con un detenuto che presenta problematiche è complessa”.

Cosa ha imparato dalla sua esperienza come garante ad Asti?

“Che la cosa più importante, per svolgere questa attività, è essere formati. Lo dico da professionista del settore e mi rendo conto che se non si è all’altezza del compito si deve fare un passo indietro, per onestà intellettuale”.

È un problema diffuso?

“A volte si pensa: vorrei diventare garante. Poi, lavorando, scopri che è difficile. In carcere, anche per un’infermiera, non è come lavorare fuori: serve una certa predisposizione. Io mi sono laureata in Infermieristica nel 2004, specializzata in criminologia e sono laureanda in Psicologia clinica. Mi sento formata, ci ho lavorato, quindi voglio dare il mio contributo. Farlo dall’esterno mi rende maggiormente libera di affrontare ogni questione. Mi gratifica l’idea di poter dare un contributo in questo contesto carcerario a volte complesso”.

Qual è la principale urgenza nelle carceri?

“Ora è il lavoro. Ma c’è una doppia carenza di personale nell’area trattamentale e nella polizia penitenziaria. Se mancano queste due figure, i progetti lavorativi saltano. Se io domani organizzassi corsi scolastici o professionali, se insegnassi ai detenuti come diventare pizzaioli o panificatori, avendo ottenuto un finanziamento, e venissero a mancare gli agenti che devono coordinare e sorvegliare, dovrei rinunciare a tutto. Questa carenza riguarda un po’ tutti gli istituti penitenziari. Spero che i concorsi diventino più fluidi. Perché ci sono tante persone volenterose, che vengono gratuitamente a insegnare mestieri e se una persona impara a fare le pizze, può venderle anche fuori e una volta uscito potrà esercitare quel mestiere. Ricordo l’esempio di un detenuto, nell’Albese, che aveva aperto una pizzeria ed era bravissimo”.