di Liana Milella
La Repubblica, 29 gennaio 2023
Intervista con l’ex presidente dell’Anm: “Ormai tutti usano Whatsapp e sarebbe un disastro negare per le inchieste di corruzione l’uso del file di controllo”. La demonizzazione delle intercettazioni da parte della politica è partita di nuovo. Ed è fortissima.
Lei, dottor Eugenio Albamonte, da pm a Roma, quando mette un’utenza sotto controllo già si chiede “ma posso farlo”?
“Contrariamente a quello che si dice, nella nostra attività di pm le intercettazioni sono residuali e vi facciamo ricorso proprio quando non ne possiamo fare a meno...”.
Guardi, a questo la politica non crederà mai...
“Eppure è proprio così. Perché la natura stringente dei controlli del gip, le scadenze molto ravvicinate per le autorizzazioni a proseguire e la procedura per il loro deposito, resa molto più complessa dalla riforma Orlando, già comportano un enorme carico di lavoro”.
Usa già la legge Orlando che distingue tra ascolti rilevanti e irrilevanti?
“Tutte le procure d’Italia applicano le norme dal 2020 e in modo molto rigoroso dopo esserci dotati anche di apparati tecnici e ambienti ad accesso riservato per custodire gli ascolti”.
Parla del famoso “armadio segreto”. Ce lo descrive? È davvero così inaccessibile?
“Le dico solo che io stesso, se voglio riascoltare le telefonate di una mia indagine, vengo tracciato sia per accedere all’archivio, e cioè una grande sala server con tante postazioni computerizzate, sia per riascoltare le singole conversazioni che m’interessano”.
Esclude fughe di notizie dall’armadio?
“Non solo io lo escludo. Lo stesso Garante della privacy, sentito dalla commissione Bongiorno, ha detto che dal 2020 i casi di diffusione indebita sono stati pari a zero”.
Per primo lei ha detto che ormai nessuno parla al telefono e tutti whazzappano. Che succede se prevale la linea, che vede fan anche a sinistra, di limitare l’uso del file di controllo Trojan a mafia e terrorismo, escludendo la corruzione?
“Bisogna distinguere. Per le normali telefonate, eliminare il Trojan sarebbe un disastro, perché le persone non conversano più sulle linee tradizionali, ma lo fanno attraverso la rete. E lo stesso vale per i messaggi e per quella grande massa di documenti - foto, sms vocali, video - che sfuggirebbe del tutto a qualsiasi intercettazione tradizionale e che oggi rappresenta la parte più cospicua delle conversazioni”.
Enrico Costa di Azione descrive il Trojan come un “ladro di vite” perché registra, cattura file, ne può immettere, fa video. È davvero così, ma soprattutto, se è così, tutto ciò serve per incastrare un criminale?
“Innanzitutto qui si esagera con la diffidenza. Dire che attraverso il Trojan la polizia giudiziaria o il pm possano inserire artatamente contenuti nei telefonini per creare prove false è una cosa da un lato impossibile, se non nei film di 007, dall’altra gravemente ingenerosa e gratuitamente offensiva...”.
I “poteri” del Trojan hanno fatto arrestare un criminale che non fosse un mafioso o un terrorista?
“Se ci riferiamo all’uso del Trojan come intercettazione ambientale sicuramente è stato indispensabile in tutti i casi in cui le persone che vogliono sottrarsi alle indagini s’incontrano per strada, sul treno, in un bar, evitando quei luoghi, come una casa o un’auto privata, in cui ci potrebbe essere una microspia. Tanto più sono gravi i reati e pericolosi gli indagati, tanto più spesso riscontriamo che si ricorre a questi espedienti”.
È costituzionale, o si presterebbe a un ricorso alla Consulta, che sia la politica a decidere i confini nell’uso di uno strumento investigativo?
“Incostituzionale non lo è, ma è chiaro che se la politica decidesse di impedire l’uso del Trojan in un’indagine di corruzione si assumerebbe una responsabilità grave di fronte agli elettori e all’opinione pubblica”.