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di Umberto De Giovannangeli

Il Riformista, 13 agosto 2022

Intervista a Ilaria Cucchi. La morte di Stefano come spartiacque, la nuova vita con Fabio Anselmo, il dolore, le battaglie vinte e quelle ancora da combattere: “Prevale l’idea del carcere come discarica sociale”

Ilaria Cucchi, cosa l’ha spinta ad accettare di candidarsi con Sinistra Italiana-Verdi?

Nicola Fratoianni. Si, è stato proprio lui a convincermi. La sua onestà e trasparenza nel chiedermi di aiutarlo a portare avanti valori nei quali io credo fermamente. Io non sono una politica anche se la politica, mio malgrado, sono stata costretta a farla sul campo. Quando l’arresto e l’uccisione di Stefano si sono abbattuti sulla mia famiglia hanno travolto la mia vita perfetta di giovane donna medio borghese, madre di due figli (Giulia di pochi mesi), con tante certezze, dall’alto delle proprie convinzioni conservatrici filo centro destra. Il tema dei diritti umani mi era estraneo. Ancor di più quello del carcere. Si, ne sentivo parlare, ma ritenevo che non mi riguardassero o potessero riguardarmi. Erano fuori dal mio mondo.

Una vita fa...

Sì, quanta acqua è passata sotto i ponti da quel 15 ottobre del 2009! Meglio sarebbe dire quanto sangue! Quando vidi il cadavere di Stefano all’obitorio tutto quel mondo ovattato e perfetto in cui avevo vissuto è stato spazzato via in un ciclone di dolore e rabbia fortissimi. Devastanti. Contattai subito Fabio Anselmo che avevo visto in TV difendere nell’aula del Tribunale di Ferrara la famiglia Aldrovandi per l’uccisione di Federico. Pensi che in realtà credevo che fosse accaduto a Roma. Attraverso Fabio conobbi la madre di Federico, Patrizia Moretti e tante altre famiglie che stavano vivendo o avevano vissuto la mia stessa tragedia. Entrai in un mondo diverso, nel quale indifferenza e cinismo si coniugavano con il dolore e la rabbia delle persone coinvolte. Iniziai a frequentare le aule dei loro processi ancor prima del mio e poi insieme al mio. Imparai a conoscere il volto diverso dello Stato. Inutile essere ipocriti. Era ostile ed arrogante nel voler negare ostinatamente l’evidenza delle tragedie frutto degli sbagli dei suoi servitori - come amiamo definirli anche quando ciò non fanno - nascondendo prove e depistando. Non ho avuto tempo di pensare. Mi sono ritrovata in una dimensione del tutto nuova dove facevo fatica a riconoscere quella donna che ero prima. 16 gradi di giudizio e 160 udienze. Il carcere e l’aula dei Tribunali sono diventati la mia casa. Ho imparato una lezione spietata: di indifferenza e cinismo si può morire. Stefano mi ha lasciato in eredità tutto questo. Ecco perché ho accettato la proposta di Fratoianni.

Tra i “leoni da tastiera”, e non solo, monta l’accusa di voler sfruttare la morte di Stefano, suo fratello. Quanta misoginia c’è in questa infamia? “Sorella di...”, “moglie di...”...

Tantissima misoginia. Non è stato facile e non lo è tuttora sopportare la violenza degli haters. I “grandi Leoni da tastiera”. Fanno male perché mi colpiscono proprio in quanto donna. Perché una donna non può alzare la testa contro la violenza in genere ma, soprattutto, quando questa le viene inflitta da appartenenti alle istituzioni. Parlo di violenza verbale, condita con fake news, che può persino evolversi in una dimensione fisica. Quando io e Fabio siamo riusciti, dopo sette anni di sconfitte nei processi sbagliati, a far riaprire letteralmente il caso di mio fratello, gli attacchi degli haters si sono fatti sempre più intensi e cruenti. Non mi perdonavano “il successo” giudiziario e mediatico. Misoginia? Eccome! Pensi che sono arrivati a prendersela anche con mia madre spingendo a ferirla nella sua dimensione più nobile ed intima: quella del parto, vilipesa perché il suo frutto è stato Stefano Cucchi, usando espressioni tanto crudeli quanto grevi. Talvolta persino “dotte”. Pensi che uno hater, medico di professione, è stato condannato dal Tribunale di Ferrara per aver scritto sui social, nella pagina Facebook di Stefano Paoloni (segretario del Sap) pesanti offese nei nostri riguardi. Si è spinto, dall’alto del suo bagaglio culturale, ad evocare addirittura una favola di Esopo. Così si è rivolto a me: “questa è una mitomane pronta a tutto… la morte di suo fratello si è rivelata essere una gallina dalle uova d’oro per lei e per la sua famiglia!!!”. Ma non sempre la Magistratura ci protegge. Pensi che questa condanna è avvenuta nonostante la fiera opposizione della Procura della Repubblica che prima aveva tentato di far archiviare il procedimento e poi aveva chiesto l’assoluzione dell’hater! Non solo ma il Procuratore in persona ha pure proposto ricorso contro la sentenza sostenendo che quelle espressioni fossero frutto “dell’esercizio del legittimo diritto di critica”. Avevo denunciato pubblicamente il fatto che tanti haters operassero attraverso profili appartenenti alle forze dell’ordine e che questo non fosse accettabile. Pensi che qualcuno di loro mi chiese scusa e qualcun altro pagò anche un risarcimento. Lo stesso medico in questione aveva mostrato il proposito di farlo ma, grazie alla strenua difesa del Procuratore, evidentemente particolarmente sensibile alle mie vicende processuali, ora siamo ancora a processo. Gli haters sono oramai miei costanti compagni di vita. Li querelo ma spesso mi imbatto in indagini svogliate ed inefficienti. Oppure i magistrati che legittimano i loro attacchi. Io e Fabio vogliamo redigere una raccolta casistica.

I temi della giustizia sembrano essere usciti fuori dal dibattito politico. Eppure di mala giustizia si continua a soffrire e a morire. I suicidi in carcere non fanno più notizia, come le condizioni di vita dei detenuti. Per non parlare dei processi senza fine. Che Paese è quello che chiude gli occhi di fronte a tutto ciò?

Di Giustizia si può morire. Io lo so bene. Mio fratello è stato portato davanti ad un Giudice ed un Pubblico Ministero e, aggiungo, ad un avvocato, poche ore dopo il violentissimo pestaggio che aveva subito ad opera di due carabinieri che lo avevano arrestato. Stava malissimo. Lo dice la sua voce che ho ascoltato dalla registrazione dell’udienza. Aveva due fratture vertebrali ed il volto gonfio e pieno di lividi. Nessuno ha visto o notato nulla. Solo la segretaria d’udienza ha testimoniato raccontando di essersi accorta delle sue condizioni ma che, in fondo, era abituata a veder portare in udienza “gli arrestati della notte” in quello stato. I temi della giustizia sono fuori dal dibattito politico, è vero. Questo è un altro motivo per il quale ho accettato la candidatura. Quando se ne parla si fa riferimento a “facili” riforme e lo si fa con spot ad effetto che tendano ad ottenere consensi “disinformati” che in realtà sono lontanissimi dai problemi reali che affliggono la Giustizia. Il cittadino ne diventa consapevole solo quando ci sbatte la faccia. Il populismo, purtroppo, si è impadronito anche di questo delicatissimo ambito. Entra sempre più spesso nelle aule giudiziarie. Fabio dice che la Giustizia è appannaggio soltanto di coloro che hanno risorse economiche importanti. Come dargli torto? Io lo so molto bene. Si guardi solo come è stato trattato mio fratello all’udienza di convalida del suo arresto. E, viceversa, quello che ho dovuto fare io per restituire dignità alla sua vita negata in modo così spietato. Fabio mi dice che, spesso, in Tribunale si processano i reati e non gli imputati. Anche di questo ho esperienza diretta. Mi fa sorridere perché, ogni volta che sente parlare di riforma della Giustizia si agita e si arrabbia. Vogliamo poi parlare delle condizioni in cui si trovano le nostre carceri? Il problema che ciò non interessa nessuno perché oramai prevale nell’opinione comune la figura del carcere come discarica sociale dove rinchiudere non solo i “delinquenti” ma anche chi possa disturbare il senso comune in quanto non normo conformato. Provo tanta amarezza perché è stato necessario che mi uccidessero un fratello per capire tutto questo. Altri non devono commettere i miei stessi errori. Abbiamo molto da lavorare sulla consapevolezza sociale di questi temi fondamentali per uno vero Stato civile e democratico.

Cosa teme di più di una destra che i sondaggi danno con il vento elettorale in poppa?

Voglio essere sincera e diretta. La maggior parte delle aggressioni verbali che ho dovuto subire e sopportare provengono proprio da quegli schieramenti; simpatizzanti, militanti ma anche, addirittura, dagli stessi esponenti politici, finanche Parlamentari o politici con responsabilità di governo. Esprimono su questi temi una cultura lontanissima alla mia, che sento fondata sulla sopraffazione del potere sul cittadino che vi si rapporti o che ne abbia soltanto bisogno. E ciò in modo direttamente proporzionale alla vulnerabilità sociale di questi. Voglio pensare positivo e cioè che, alla fine, abbaino e non mordano. Ma dobbiamo vincere noi.

Metà degli italiani è indecisa se recarsi ai seggi elettorali il 25 settembre; una parte di questa metà si dice “disgustata” dalla politica. Un sentimento diffuso soprattutto tra i giovani. Come se lo spiega e perché le tante e i tanti disillusi, disgustati, dovrebbero votare e votare a sinistra?

Ha presente la Canzone “destra-sinistra”di Giorgio Gaber? La trovo geniale e di straordinaria attualità. La politica è sempre più lontana dalle necessità, sempre più drammaticamente contingenti e stringenti, dei cittadini. Il solo nome “politica” è percepito come un disvalore sinonimo di affari e malaffari. Potere fine a se stesso. Troppi programmi mai mantenuti. Troppi slogan roboanti e del tutto improbabili. Nel deserto dei concreti risultati ottenuti si sono abbattute le tempeste della pandemia ed ora della guerra. Il tenore di questa breve campagna elettorale, tutta incentrata sul chi litiga ed insulta chi, non aiuta di certo. Nel mio piccolo sono veramente in tantissimi coloro che mi ringraziamo per essermi messa in gioco. Dicono che altrimenti non avrebbero votato.

In politica lei porta la sua storia, il suo impegno civile, il suo dolore. Cosa si sente di dire a quanti hanno vissuto esperienze simili alle sue e che attendono ancora di avere giustizia?

Di continuare a crederci. Di non smettere mai di lottare. Di non lasciare mai prevalere la rabbia e la frustrazione che io conosco molto bene. Certo, è facile dire tutto questo quando io ce l’ho fatta. Ma non ho fatto tutto da sola. Se non avessi avuto affianco a me tantissime persone e, aggiungo, la gente comune che si è riconosciuta proprio nelle mie sconfitte e nella mia frustrazione ma anche nella mia resistenza.