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di Valeria Vantaggi

vanityfair.it, 2 luglio 2023

Idee in fuga è una cooperativa sociale nata nel carcere di Alessandria con l’obiettivo di creare lavoro per i detenuti, dentro e fuori le mura. Qui ne parla Fulvio Buoncristiani, che, dopo anni passati dietro le sbarre, ora progetta un nuovo futuro. Il lavoro serve a tutti, ma a loro forse anche di più. Quando si passano anni in galera, uscire è certo una gioia, che, però, fa anche molta paura. Che cosa fare? Come ripresentarsi al mondo? Là fuori è difficile che ti accolgano a braccia aperte, difficile trovare uno spazio, con quel passato che ingombra.

È un problema diffuso, che coinvolge tutti gli ex reclusi e “Idee in fuga” è nata per questo: una cooperativa attiva nell’Istituto Penitenziario “Cantiello e Gaeta” di Alessandria, impegnata a creare, appunto, opportunità di lavoro sia mentre i detenuti stanno scontando la loro pena sia, soprattutto, quando escono dal carcere.

Il lavoro - lo dicono diversi studi e pubblicazioni scientifiche - è un potente strumento per abbattere la recidiva: una volta usciti di prigione tre detenuti su quattro commettono reati, e ritornano dietro le sbarre. Creare opportunità di formazione professionale è uno dei modi migliori per attivare un vero processo di cambiamento.

Se si va da Fuga di Sapori, la bottega in corso Roma 52 ad Alessandria, messa in piedi dalla cooperativa “Idee in fuga”, ben si capiscono tutte le possibilità. Qui carcerati ed ex carcerati mettono in vendita quello che hanno imparato a fare: i taralli Maresciallo, il panettone Maskalzone, le Sbarrette di cioccolato e le tante birre prodotte attraverso la nascita del primo luppoleto di un carcere, 400 metri quadrati e 300 piante, dove ogni anno vengono organizzate meravigliose cene per supportare le attività della cooperativa a favore dei detenuti e delle loro famiglie.

Fulvio Buoncristiani, torinese di 42 anni, in quella bottega ci lavora con orgoglio. Dopo quattro anni e mezzo di detenzione non era semplice ricominciare: “Ero verso la fine della pena, quando, grazie all’art. 21, mi è stato concesso un lavoro all’esterno. Ed è stato un passaggio importantissimo per me. Quando si è dentro si diventa molto abitudinari, si fa fatica a socializzare e si finisce per perdere troppi punti di vista: uscire da lì richiede riprendere in mano”.

Questo lavoro nella bottega dà a Fulvio una prospettiva di futuro, che lui non aveva mai avuto: “Quando ero ragazzino facevo l’ambulante con i miei genitori, poi ho lavorato nella ristorazione a Roma e in un servizio catering a Pescia, in Toscana, ma le cose non sono andate come avrei voluto. Mi hanno messo dentro per tentata estorsione”.

Della sua vita - dice - non cambierebbe nulla: “Fosse andata diversamente non sarei quello che sarei oggi. Per carità, su alcune cose starei più attento, altre le migliorerei, ma anche ciò che di brutto mi è successo mi ha dato insegnamenti importanti. Non voglio tirarmi indietro, ho imparato ad accettare il mio passato, pronto oggi a presentarmi per quello che sono, con tutta la mia storia sulle spalle”.

Oggi è un’altra persona, orgoglioso di essere diventato il riferimento per la bottega, di averne le chiavi e gestire la cassa: “Il fatto che mi abbiano dato le chiavi per me è stato importantissimo, una dimostrazione di fiducia che mi ha fatto ripartire. Mi hanno assunto e ho uno stipendio regolare: senza questa opportunità chissà come avrei fatto.... Devo ringraziare anche l’associazione Betel, che, quando sono uscito di prigione, mi ha dato uno spazio abitativo a spese zero. Per me è stata una mano santa. Ora riesco a pagarmi un affitto e riesco a condurre una vita normale, ma non è immediato e se non avessi ricevuto un aiuto, non so dove sarei finito. Avere un lavoro ti aiuta a non perderti, a non cadere là dove eri già caduto, serve a stancarsi durante il giorno e a dormire di sera”.

Fulvio si dice appagato: “Vorrei che le persone potessero vedermi come esempio: se ci si impegna con i giusti modi, se ne può uscire, superando quello che sembra insormontabile”. Anche se qualche amarezza c’è e Fulvio qualche sassolino vuole toglierselo: “Io ce l’ho molto con lo Stato. C’è una giustizia troppo tardiva: se hai sbagliato è assolutamente giusto che paghi per quello che hai fatto, però la pena non può avvenire con troppi anni di distanza. Se un reato l’ho fatto quando avevo 20 anni e mi condanni che ne ho più di 30, nel frattempo potrei essere diventato un’altra persona”.

E tra i desideri che Fulvio ha oggi c’è quello di incontrare suo figlio, che non vede da anni: “Mi emoziono solo all’idea. Mi sto facendo accompagnare da uno psicologo, non voglio sbagliare, non voglio dare problemi né a lui, né alla sua mamma. Intrufolarsi in una vita dopo così tanti anni di assenza è tosta: non lo vedo da quando aveva un anno e oggi ne ha 17. Vorrei che lui sapesse che se un giorno vorrà vedermi, io ci sarò, pronto ad abbracciarlo. Non ho niente da nascondere, non voglio tenere segreti. Con il tempo ho imparato a stare in ginocchio, a capire il valore dell’umiltà. So che cosa vuol dire cadere e so quanto sia importante saper dare una mano: l’hanno fatto con me e io ora voglio farlo con gli altri”. E se dovesse dire un grazie, lo direbbe ai suoi titolari: “Sono eccezionali, più educatori che datori di lavoro. Mi hanno permesso di ricominciare a vivere”.