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di Giovanni Bianconi

Corriere della Sera, 30 gennaio 2023

Il ministro della Giustizia in attesa del parere dei magistrati anti terrorismo. Sul tavolo del ministro della Giustizia Carlo Nordio è ferma, dal 12 gennaio, un’istanza di revoca del “carcere duro” nei confronti del detenuto Alfredo Cospito, presentata dal suo avvocato Flavio Rossi Albertini. Il Guardasigilli è in attesa del parere della Procura antiterrorismo di Torino e della Direzione nazionale antiterrorismo per poi prendere una decisione: l’unica eventuale via d’uscita dal “41 bis” che lui può imboccare sull’anarchico che ha superato il centesimo giorno di sciopero della fame.

Le altre, quella giudiziaria e quella sanitaria, riguardano rispettivamente la Corte di cassazione e i medici che vigilano sulla salute sempre più deteriorata dalle modalità della protesta.

 Il 10 gennaio scorso Nordio, oltre a confermare che la situazione dell’anarchico è costantemente “monitorata con la massima attenzione”, aveva comunicato di non aver ricevuto alcuna richiesta di revoca del “regime speciale” applicato il 4 maggio 2022 dalla ex ministra Marta Cartabia, su richiesta dei magistrati di Torino e della Procura nazionale. Tempo due giorni e l’avvocato Rossi Albertini ha “colto la sollecitazione”, presentando la sua istanza sulla base di un “elemento nuovo”, sopraggiunto dopo verdetti e ricorsi.

La nuova sentenza - Si tratta della motivazione di una sentenza della Corte d’assise di Roma che ha assolto alcuni imputati anarchici dal reato di “associazione con finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico”. In quel processo l’accusa aveva evidenziato il ruolo di Cospito che, dal carcere, forniva indicazioni ai compagni in libertà per compiere attentati; il suo “disegno strategico avrebbe costituito spirito propulsore nell’affermazione del metodo di lotta violenta perseguita dalla casa madre anarco-insurrezionalista Fai (Federazione anarchica informale)”.

Il “41 bis”, applicato per la prima volta a un detenuto non mafioso o terrorista conclamato (come 3 brigatisti di ultima generazione, tornati in azione tra il 1999 e il 2002), è fondato anche su queste considerazioni. Insieme alla corrispondenza tra Cospito e un coimputato sulla necessità di reagire con azioni violente “ai colpi che la repressione ci infligge”. Ora però la sentenza prodotta dal legale dell’anarchico ha stabilito che quello scambio epistolare “non evidenzia alcuna pretesa del Cospito di imporre all’esterno un pensiero unico sul concetto di azione armata e distruttrice, né sono obiettivamente rintracciabili direttive che in tal senso egli fornisca dal carcere”. Tantomeno, aggiungono i giudici ci sono “risposte adesive e di concreta attuazione di un tale metodo di lotta comunicato dal Cospito ai compagni all’esterno”.

La stessa sentenza smentisce pure - nella lettura del difensore - l’idea di un’organizzazione che risponde a un capo o a un gruppo dirigente. Scrivono infatti i giudici: “È rimasto assolutamente indimostrato che gli imputati abbiano “sposato” il metodo di lotta violenta, armata, distruttiva, che ispira le azioni della Fai, operando quale “cellula” o gruppo criminale assai vicino all’organizzazione terroristica”. Gli attentati commessi sarebbero piuttosto “espressione del pensiero politico ideologico più vicino al fenomeno “dell’antagonismo sociale”, sicuramente privo di qualunque connotazione e valenza terroristica”. Valutazioni che, secondo l’avvocato Rossi Albertini, fanno venir meno il presupposto del “carcere duro” inflitto al suo assistito. E con le quali dovrà confrontarsi il ministro dopo aver ricevuto i pareri dei magistrati antiterrorismo.

La Cassazione - L’altra strada aperta è quella giudiziaria. Giunta all’ultimo gradino: il prossimo 7 marzo la Corte di Cassazione dovrà pronunciarsi sul ricorso presentato dal legale di Cospito contro il verdetto del tribunale di sorveglianza che a dicembre ha confermato il decreto ministeriale. L’avvocato lamenta che i giudici non sono entrati nel merito del reclamo da lui proposto, limitandosi a “riprodurre ed ampliare le argomentazioni del decreto ministeriale”. È un iter comunque lungo, perché se pure dovesse annullare l’ordinanza, la Cassazione rimanderebbe probabilmente gli atti alla Sorveglianza per una nuova decisione.

Sul fronte sanitario, invece, spetta ai medici del carcere stabilire se le strutture del penitenziario di Sassari sono in grado di garantire la sopravvivenza del detenuto, le cui condizioni si fanno di giorno in giorno più critiche. Indipendentemente dal “regime speciale”. Se la situazione dovesse peggiorare, il trattamento sanitario obbligatorio, con l’alimentazione forzata o altri trattamenti, sarebbe possibile solo nel caso in cui il detenuto dovesse perdere conoscenza. Il Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma ha già chiesto il trasferimento in una struttura in grado di garantire eventuali interventi urgenti, che a Sassari non sarebbero possibili. La decisione tocca all’Amministrazione penitenziaria, che però si affida a sua volta al giudizio dei medici.