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di Chiara Pizzimenti

vanityfair.it, 24 febbraio 2024

“Io sono Cassandra” è lo spettacolo del Teatro dei Venti con le detenute della Casa Circondariale di Modena. Siamo andati a vederlo. “Che bello portare uno spettacolo sul destino in carcere”. “Che coraggio portare uno spettacolo sul destino in carcere”. I pensieri arrivano uno dopo l’altro a spettacolo iniziato. Erano altri quelli prima di entrare nella sala, anzi prima di entrare nel Casa Circondariale di Modena dove questo spettacolo del Teatro dei Venti, Io sono Cassandra, viene messo in scena con un gruppo di detenute del carcere come attrici.

Il carcere è luogo chiuso, separato dagli altri entrarci da spettatori comporta più di un controllo e riflessioni che non sono abituali. C’è il controllo dei documenti, c’è anche l’indicazione arrivata con un giorno di anticipo, di non portare borse voluminose, tutto va lasciato fuori in armadietti non grandi. Si entra senza portare nulla in carcere in un tardo pomeriggio di un venerdì di febbraio. Qui non si è raggiungibili, da qui non si raggiunge nessuno. E sì, il pensiero del cancello che si chiude alle tue spalle c’è, ma passa quando si entra nella sala dedicata allo spettacolo.

Uno alla volta ci si ferma per purificarsi, per lavare simbolicamente le mani e poi si prende posto. Le sedie sono in cerchio, le attrici sono sedute con il pubblico, 28 persone autorizzate preventivamente e controllate, tutti sullo stesso piano, tutti alla stessa altezza per svolgere un’indagine sulla figura femminile di Cassandra dall’interno di un luogo per eccellenza marginale, attraverso un reading di racconti, visioni, voci sul futuro. Il regista Stefano Tè racconta: “La proposta nasce dall’esigenza di creare un contesto “alla pari”, dove l’ospite si mette acconto a chi sta in quel luogo ad attendere la visita, non di fronte, non quindi in un ruolo di osservatore, ma di partecipante, di parte del cerchio, parte del rituale. Lo spettatore entra in quel cerchio per sapere, per essere osservato, visto, conosciuto. La luce c’è dove accade l’incontro, l’attenzione sta nell’incontro”.

I testi sono scritture originali della poetessa Azzurra D’Agostino, che firma anche la drammaturgia. E sono nati a partire dal lavoro con le detenute attrici come spiega l’autrice. “Nella fase preparatoria abbiamo fatto degli incontri dedicati alla scrittura di poesia. Gli stimoli da cui partire a scrivere sono stati testi che potessero essere di ispirazione per aprire a una riflessione ampia, decontestualizzata rispetto al tema del carcere, che per ovvie ragioni rientra in ogni caso dentro alle riflessioni intime e alle narrazioni del sé. Abbiamo scritto sulla nostra visione delle stagioni, del tempo, del Paradiso, degli animali e abbiamo “giocato” con alcune nozioni di chiromanzia”.

Più si va avanti nello spettacolo più si pensa che la protagonista non poteva che essere Cassandra, la profetessa inascoltata, la straniera, la reietta, quella che gli altri evitano perché temono le sue parole. Cassandra non viene creduta e dice la verità, dicendola svela debolezze e fragilità di ognuno. Spiega ancora l’autrice. “Il fatto di poter interpretare il ruolo di una profetessa, di un oracolo inascoltato, ha permesso di ragionare sul futuro in termini molto ampi e credo che tutte le attrici abbiano sentito molto forte e vicina la figura di Cassandra. Dopo aver scritto insieme, ho sempre raccolto le poesie e in fase di scrittura alcuni versi, alcune immagini, alcune sensazioni espresse in quei testi sono entrati nel poema finale. Anche se si tratta appunto di spunti, mi pare che chi ha partecipato al laboratorio si sia sentita rappresentata, in quanto ha riportato con orgoglio alle compagne: “Lo abbiamo scritto noi”.

C’è una risposta? Sì, ma quella dell’oracolo è sempre da interpretare e le domande restano aperte per tutto lo spettacolo nelle parole delle attrici e in quanto ognuno scrive su un foglio che viene consegnato. Tutti possono fare una domanda all’oracolo, ognuno deve fare domande a se stesso.

E le attrici? Tutte loro sono Cassandra. Non serve sapere i loro nomi, non serve conoscere la loro storia. Bastano le mani e gli occhi, gli sguardi e le voci che sono di minuto in minuto più ferme, più forti. Si vede il percorso nella loro recitazione e viene anche da pensare che dietro ci siano inibizioni e pause. “A differenza degli uomini, le donne in carcere difficilmente riescono a distrarsi, a dimenticare anche se per qualche ora, la loro condizione”, dice Francesca Figini che ha curato il percorso di creazione a cura di Francesca Figini, “In anni di esperienza, abbiamo sempre chiesto alle persone che lavorano con noi, di “lasciare fuori dalla sala teatrale” preoccupazioni, pensieri, ansia e rabbia, per permettere a quelle stesse persone di dedicarsi a fare teatro soltanto. Con le donne questa richiesta è sempre stata minata da un’emotività e una complessità di pensiero che è tipica dell’animo femminile e che nel carcere è ancor più amplificata. Le donne in carcere faticano più degli uomini a mettere da parte, a non far sì che una cattiva notizia, una telefonata impegnativa con un parente, influisca irrimediabilmente sull’umore di tutta la giornata. Se per qualcuna, qualcosa è andato storto prima del nostro incontro di teatro, difficilmente quella persona riesce a concentrarsi su quello che le chiediamo di fare, il più delle volte decide di fermarsi e tornare in cella, perché ci dice: “Oggi proprio non ce la faccio”“.

Anche la preparazione dello spettacolo Io sono Cassandra è stata caratterizzata nel corso dei primi incontri da questo trend. Il cambiamento è arrivato all’improvviso. “Abbiamo iniziato a lavorare in un posto diverso, il teatro del carcere al posto della palestra in sezione, e si è consolidato un gruppo di persone che ha iniziato a credere che quello che stavamo facendo avrebbe potuto dar loro soddisfazione. Ecco allora che i freni posti dall’essere detenute e quindi inchiodate al sentirsi costantemente in uno stato di sofferenza e di malessere, hanno cambiato natura, diventando sfida, spinta e determinazione a fare bene. Da quel momento, le paure e le inibizioni che hanno accompagnato le detenute attrici verso l’andare in scena, sono quelle di tutti gli attori, a maggior ragione di quelli alla prima esperienza: timore di sbagliare, di impicciarsi con le parole, di leggere troppo in fretta, di non reggere lo sguardo del pubblico, di emozionarsi troppo e scordarsi tutto”.

Il risultato è coinvolgente e ancora di più stupefacente se si pensa che il carcere, al femminile, ha numeri minori rispetto al maschile e anche minori fondi. La cosa più bella e la reazione al lungo applauso. Le attrici sanno di dover mantenere la maschera di scena, ma si vede la gioia sotto questa. Continua Francesca Figini: “L’aspetto interessante è che c’è stata una sempre crescente coscienza di ciò che di volta in volta poteva essere migliorato all’interno dello spettacolo e una conseguente richiesta da parte delle attrici di consigli, indicazioni, suggerimenti per fare sempre meglio”.

“La mia sensazione è che la maggiore preoccupazione fosse mostrarsi alle compagne. Un timore di essere derise, non comprese, di essere distratte dalle figure che compongono il quotidiano. Invece, l’essere riuscite a mantenere con grande centratura il personaggio, stando nel ruolo, assumendo di fatto un’altra postura e un’altra veste, le ha rese molto soddisfatte e ha permesso uno scatto anche nella percezione e auto-narrazione di sé” aggiunge Azzurra D’Agostino. “Un nuovo contatto con un lato profondo, che toglie dallo schema e dallo stigma, permettendo di riconoscersi in qualcosa di totalmente altro rispetto alla vita in carcere. Mi verrebbe da dire che non si è solo il proprio contesto, e credo che questo sia difficile da realizzare e da percepire nei luoghi di sofferenza. C’è stato, mi pare, un piccolo slittamento di status negli occhi non solo delle compagne, ma anche delle educatrici o di altre figure interne: le attrici hanno ricevuto complimenti e sincera ammirazione, tanto che alcune detenute sono tornate due volte alla replica, e altre si sono iscritte al prossimo laboratorio. Una delle attrici ha raccontato con orgoglio che ora in sezione la chiamano “Cassandra”. Tutte loro sono meravigliose Cassandra.

“Io sono Cassandra” è una produzione Teatro dei Venti in coproduzione con il Coordinamento Teatro Carcere Emilia Romagna, con il sostegno di Ministero della Cultura e Regione Emilia-Romagna, con il contributo di Fondazione di Modena per il progetto Abitare Utopie, con il contributo di BPER Banca. All’interno di AHOS All Hands on Stage progetto cofinanziato dal programma Creative Europe. Questo lavoro fa parte del percorso di ricerca per il prossimo spettacolo del Teatro dei Venti per gli spazi urbani di grandi dimensioni, con debutto previsto nel 2026. I testi dello spettacolo sono inclusi nel libro Messaggi al Presidente, di Azzurra D’Agostino, pubblicato dalla casa editrice Le Lettere, che contiene alcune liriche scritte durante il lockdown del 2020 e diversi scritti teatrali della poetessa.

Teatro dei Venti lavora dal 2006 nella Casa di Reclusione di Castelfranco Emilia e dal 2014 nella Casa Circondariale Sant’Anna di Modena, con percorsi creativi permanenti nelle sezioni maschili e femminile. I progetti hanno portato alla produzione di 9 spettacoli per un totale di oltre 50 repliche anche fuori regione, di 1 film, 2 radiodrammi, 11 spettacoli di artisti esterni e 6 laboratori ospitati nel corso di Trasparenze Festival. Nei processi creativi e in occasione dei debutti, i detenuti percepiscono una retribuzione per prove e repliche.