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di Paolo Colonnello

La Stampa, 11 settembre 2022

La psicoterapeuta Silvia Vegetti Finzi: “Tra i ragazzi c’è una debolezza che non ha precedenti. Il sistema li demotiva, dovrebbero avere più fiducia e quote di potere”. Dati e statistiche raccontano una realtà che rimane ben lontana dalle campagne elettorali: gli aumenti dei suicidi tra gli adolescenti, quinta causa di morte tra i giovanissimi. “C’è una debolezza intrinseca nelle nuove generazioni che non ha precedenti”, dice Silvia Vegetti Finzi, psicoterapeuta, una delle massime esperte in Italia di disagio giovanile.

Dottoressa, è un segno di debolezza generazionale?

“Si, credo che questa sia una generazione estremamente fragile e vulnerabile, anche confrontata con i genitori del boom. Il problema è che nel Dna dell’adolescenza sta scritta una spinta energetica, fisica e psichica verso il futuro che in un’epoca di crisi come quella che stiamo vivendo non trova riconoscimento e sostegno”.

Ansia da guerra e da Covid?

“Non solo, sarebbe un comodo scarico di responsabilità per gli adulti. Ci troviamo in situazione estremamente difficile, ma questo non deve esimerci dal riflettere su nostre responsabilità”.

Quali sono?

“Vorrei sottolineare che esiste, anche se non esclusivamente, soprattutto la responsabilità della scuola, perché ha il compito di integrare i giovani nella società ma questo avviene raramente. Manca in generale un’educazione alle emozioni, non abbiamo più nemmeno le parole per dirlo: siamo degli illetterati affettivi”.

Motivo?

“Da una parte vi è un’inerzia per cui molti insegnati stanchi e delusi continuano a operare come se non fosse accaduto niente, come si è sempre fatto”.

Parla delle chiusure per Covid?

“Certo, pochissimi hanno preso atto dai problemi indotti soprattutto dall’isolamento e dal lockdown. Dall’altra parte invece individuo delle spinte innovative su questo vecchio tronco, che mi sembrano molto preoccupanti”.

Quali sono?

“Sono per esempio atteggiamenti di tipo selettivo molto forte: si dà molta importanza ai voti, alle prove d’ingresso alle facoltà universitarie, con test impersonali che non tengono conto di attitudini e personalità dei ragazzi, un tentativo di rendere oggettiva l’educazione attraverso i test che finiscono in realtà per togliere umanità al processo educativo. Io i test li abolirei”.

Per anni si è parlato della necessità di un sistema meritocratico e adesso scopriamo che è diventato abnorme e schiacciante?

“Si, è un sistema selettivo che discrimina, che espelle, che demotiva. Si tenga conto che poi in Europa l’Italia è agli ultimi posti, subito prima della Grecia, nel numero dei laureati. Non capisco perché vi sia questa selezione impersonale. Credo ci sia una rinuncia al nostro patrimonio umanistico in favore di un tecnicismo tipicamente anglosassone che, come dice Galimberti, mi fa porre questa domanda: il problema non è cosa faremo noi della tecnica ma cosa farà la tecnica di noi”.

È il motivo che porta i giovani ad essere più fragili?

“È un sistema che li demotiva, li rende fragili. In mancanza di mete di orientamento e di modalità che incanalino le spinte sessuali e aggressive dell’adolescenza, queste energie rischiano di rivolgersi contro se stessi”.

Come spezzare questo circolo?

“Dando fiducia ai giovani, cedendo loro più quote di potere, dare fluidità ai loro percorsi di vita: sono troppo irrigiditi, invece dovrebbero guardarsi più in faccia, abitare la realtà concreta, non solo quella virtuale che esaspera le passioni negative”.