sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Francesca Spasiano

Il Dubbio, 24 novembre 2023

Dalla chiamata al 112 “senza risposta”, ai messaggi struggenti alle amiche. Alla fine Giulia è rimasta sola, vittima - dice l’esperta - di quella “manipolazione tipica di tutti gli uomini violenti”. Si dirà che Giulia Cecchettin avrebbe dovuto cogliere i segnali della violenza. Che avrebbe dovuto meglio valutare il rischio che correva all’interno di quella relazione con l’ex compagno Filippo Turetta, con il quale aveva rotto, sì, ma senza allontanarsene definitivamente. Tutto questo si dirà soprattutto ora che le parole della 22enne ammazzata e ritrovata in un canalone vengono a bussarci alla coscienza.

Sono le parole che Giulia aveva rivolto alle amiche in un audio recuperato e diffuso dalla trasmissione Rai Chi l’ha visto. Leggiamolo. “Vorrei fortemente sparire dalla sua vita, ma non so come farlo. Mi sento in una situazione in cui vorrei che sparisse, vorrei non avere più contatti con lui. Però allo stesso tempo lui mi viene a dire che è super depresso, che ha smesso di mangiare, passa le giornate a guardare il soffitto, pensa solo ad ammazzarsi, vorrebbe morire. Non me le viene a dire per forza come ricatto però suonano molto come ricatto. Allo stesso tempo mi viene a dire che l’unica luce che vede nelle sue giornate sono le uscite con me o i momenti in cui io gli scrivo. Io vorrei non vederlo più, comincio a non sopportarlo più. Vorrei fortemente sparire dalla sua vita, ma non so come farlo. Mi sento in colpa, ho troppa paura che possa farsi male in qualche modo”.

Cosa ne deduciamo? C’è spazio per una riflessione, oltre allo strazio che quel messaggio d’allarme provoca dopo un tragico epilogo, quanto ormai è troppo tardi? Giulia capiva che il suo fidanzato la ricattava emotivamente. La manipolava, aggiungiamo. Ma non riconosceva che quella forma di violenza potesse degenerare fino alle sue massime conseguenze, ponendo fine alla sua vita. Giulia temeva per lui, “che pensa solo ad ammazzarsi”. Non temeva per sé. Era caduta nello schema che la cronaca ci restituisce sempre uguale: un uomo che non “accetta” la fine di una relazione, una donna che si autocolpevolizza per le conseguenze della propria decisione. Che dovrebbe essere una scelta libera, ma non lo è quasi mai. Subentra il senso di colpa, insieme alla paura che la situazione sfugga di mano. Ma a chi spetta “tenere a bada” colui che potrebbe rivelarsi il proprio assassino? Spetta alle donne “difendersi”, fare di tutto per restare in vita? Perché le donne ancora cadono nella “trappola” della violenza, invece di scappare a gambe levate, come siamo tentati di dire in questi casi?

“Partiamo dal fatto che questo ragazzo è un uomo violento, e tutti gli uomini violenti sono dei grandi manipolatori, che riescono ad appropriarsi dell’anima dell’altra persona, facendola ragionare a modo proprio”, spiega Cinzia Marroccoli, psicologa, consigliera della la rete D.i.Re e presidente del Centro antiviolenza di Potenza. Sembra ormai chiaro che l’ex compagno esercitasse su Giulia una “violenza psicologica, il cui primo indicatore è la gelosia ossessiva, che altro non è se non l’espressione di potere e di controllo su quella che lui definiva la propria fidanzata, come ha continuato a definirla anche dopo l’arresto”, prosegue l’esperta. A differenza di molte altre donne, che Marroccoli ha incontrato nel suo percorso professionale, Giulia era “lucida”: una parte di lei “era integra”, desiderava riappropriarsi della propria autonomia, tanto è vero che lo aveva lasciato. Ma dal timore che lui potesse farsi del male era nata anche la convinzione “di doverlo proteggere, di doversene prendere cura, perché non avrebbe retto quel senso di colpa derivante dalla manipolazione”.

Perché non è riuscita a sottrarsi a quello schema? Il fatto è che la “nostra emotività a volte prende strade diverse dalla nostra intelligenza”, dice Marroccoli. Giulia era caduta “nella trappola del patriarcato” e il suo senso di colpa “derivava proprio da questo: dal venir meno da quel ruolo femminile che ci hanno inculcato. Per uscirne bisogna fare un lavoro di consapevolezza che passa per un doppio livello, personale e sociale. C’è una cultura ancora da scardinare, e ne è prova la reazione scomposta suscitata dalle parole della sorella di Giulia, Elena, quando ha puntato il dito contro il patriarcato”, chiosa la presidente del Cav.

Ma uscire da quell’incubo, liberarsi definitivamente di quel possesso, avrebbe davvero salvato Giulia? Da oggi la domanda che si impone è un’altra. Perché ciò che resta è il dato di cronaca, ovvero le due telefonate arrivate al 112 quella tragica sera dell’11 novembre: la prima da parte di un testimone, che al centralino riferisce di aver sentito una donna chiedere aiuto e gridare “così mi fai male” durante una lite violenta con un uomo nel parcheggio di Vigonovo. La seconda da parte di un vigilante presso il calzaturificio di Dior. A quelle segnalazioni non sarebbe seguito alcun intervento delle forze dell’ordine, fino all’indomani, quando il padre ne ha denunciato la scomparsa. E ora spetterà alla procura di Venezia, che ha acquisito le telefonate per confrontare gli orari, capire cosa è davvero successo e come sia stato possibile.