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di Iuri Maria Prado

Il Riformista, 21 giugno 2022

L’impostazione punitiva voluta dalla magistratura era concepita contro i potenti e i privilegiati, ma ha prodotto l’effetto opposto: le vittime del panpenalismo giudiziario sono soprattutto derelitti ed emarginati. Grossa come una casa, grossa come un carcere, c’è una questione di classe a condannare l’amministrazione della giustizia.

È dagli anni Settanta del secolo scorso che la magistratura deviata si esercita a orientare la propria giurisprudenza in senso “sociale”, e tutto si potrà dire di quel malcostume tranne che abbia portato i benefici di giustizia diffusa che pure erano posti a giustificazione di quelle forzature. Analogo risultamento di ingiustizia si è avuto nei decenni più recenti di barbarie della giurisdizione penale. Anche su quest’altro fronte si pretendeva che l’impostazione punitiva avrebbe ricondotto a giustizia una società oltraggiosamente proclive all’indulgenza verso i privilegiati, i potenti, gli ammanicati, come se il traguardo securitario di un ordinamento finalmente capace di assicurare più catene per tutti fosse il meglio cui ambire. Ma il verbo sanzionatorio e il culto del rimedio carcerario hanno prodotto l’opposto di quel che intendevano perseguire, e cioè le galere piene di umanità derelitta, le galere piene di poveri, piene di immigrati, piene di emarginati, piene di malati di mente, cioè piene della gente che quella supposta giustizia avrebbe dovuto risarcire, pensa un po’, con lo spettacolo della tortura inflitta una buona volta anche ai colpevoli di lusso abituati a farla franca.

I propositi sociali del penalismo giudiziario engagé si sono platealmente ridotti all’ottenimento di una giustizia profondamente classista, che in omaggio alla persecuzione dei privilegiati, che sono meno, accetta senza perplessità quella dei disgraziati, che sono i più. E, quando si tratta di ipotizzare provvedimenti che intervengano per limitare l’abuso carcerario, puntualmente la reazione pan-penalista ricorre all’armamento demagogico che denuncia le manovre per il salvataggio di quei pochi, i privilegiati, e pazienza se il costo delle mancate riforme lo pagano invece quei tanti, i disgraziati cui si riconosce il privilegio di condividere la cella coi colletti bianchi. La perequazione sociale dell’ora d’aria.