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di Ornella Favero

Ristretti Orizzonti, 27 febbraio 2024

Comincio con un aneddoto. Anni fa l’allora direttore della Casa di reclusione di Secondigliano, Liberato Guerriero, mi aveva raccontato un curioso episodio della sua vita da direttore: quando nel 2000 era stato approvato il nuovo Regolamento di esecuzione dell’Ordinamento Penitenziario, che prevedeva di togliere i banconi divisori con il vetro dalle sale colloqui e arredarle con dei tavolini, lui aveva incaricato subito dei detenuti della MOF (Manutenzione Ordinaria Fabbricati) di abbattere i banconi e iniziare l’adeguamento delle sale a quanto previsto dalla legge. Ebbene, invece che venire apprezzato, era stato subito stoppato e ricondotto ai tempi biblici che spesso caratterizzano l’Amministrazione centrale, tanto che poi a distanza di anni c’erano ancora carceri con l’orrendo bancone, fuorilegge sì, ma tollerato. Insomma, è vietato dare il buon esempio, metterebbe troppo in luce l’inerzia degli altri. E proprio quella possibile inerzia ha spinto la Corte Costituzionale a spiegarci bene quello che si deve fare con i colloqui intimi.

 Amore in carcere: intanto parliamo di questo, dell’amore che si può finalmente declinare come vicinanza, intimità, carezze, una relazione che prevede anche il sesso. Poi sgombriamo il campo da quella parola, “guardoni” che alcuni sindacati di Polizia Penitenziaria hanno usato per dire che non vogliono questa riforma, perché si rifiutano di fare i guardoni di stato. No, scusate, i guardoni siete stati costretti a farli in questi anni in cui c’era il controllo visivo sui colloqui, e non si poteva consentire al detenuto di rubare né un bacio né una carezza, ma con i colloqui riservati non dovrete guardare niente, se non un controllo all’ingresso e all’uscita da quei colloqui. E quindi potrete fare il vostro lavoro, di cui abbiamo rispetto e considerazione, al meglio. E noi, Volontariato e Terzo Settore, siamo davvero interessati ad approfondire il dialogo con la Polizia Penitenziaria, che nelle sezioni deve drammaticamente reggere il peso di una situazione detentiva sovraffollata e poco rispettosa dei diritti, anche di quelli di chi lì dentro lavora.

Leggiamo insieme la sentenza

Proviamo allora a fare una lettura non distratta della sentenza:

“Questa Corte è consapevole dell’impatto che l’odierna sentenza è destinata a produrre sulla gestione degli istituti penitenziari, come anche dello sforzo organizzativo che sarà necessario per adeguare ad una nuova esigenza relazionale strutture già gravate da persistenti problemi di sovraffollamento.

Il lungo tempo trascorso dalla sentenza n. 301 del 2012, e dalla segnalazione che essa rivolgeva all’attenzione del legislatore, impone tuttavia di ricondurre a legittimità costituzionale una norma irragionevole nella sua assolutezza e lesiva della dignità delle persone.

(…) “È altresì opportuno valorizzare qui il contributo che a un’ordinata attuazione dell’odierna decisione può dare - almeno nelle more dell’intervento del legislatore - l’amministrazione della giustizia, in tutte le sue articolazioni, centrali e periferiche, non esclusi i direttori dei singoli istituti”.

Viene da dire che la Corte Costituzionale non ha dimenticato nessun dettaglio: non ha dimenticato di sottolineare che già nel 2012 la politica era stata sollecitata a fare una legge in materia, e non l’ha fatta; non ha dimenticato che l’amministrazione penitenziaria è spesso lenta e macchinosa, e quindi ha dato modo a tutti di attivarsi per eliminare in tempi rapidi questa “desertificazione affettiva”, così la definisce la Corte, che non può continuare oltre.

L’ha detto in modo chiaro il magistrato che ha sollevato la questione di costituzionalità, Fabio Gianfilippi: “C'è un'autonomia ovviamente di valutazione da parte di ogni magistrato di sorveglianza così come di ogni settore dell'amministrazione, però è molto interessante proprio la lettura della sentenza della Corte, che non si limita a dire “si fa così” ed è finito, ma sapendo che queste cose si devono concretizzare nella realtà chiede A TUTTI di muoversi, quindi credo che questo spazio per la magistratura di sorveglianza, anche prima del momento del reclamo, ci sia. Intanto nel sollecitare, perché ci saranno direzioni che si sono già mosse e che probabilmente stanno già riflettendo”.

A spiegarci bene come è strutturata questa sentenza e perché si definisce “additiva di principio”, è un altro magistrato esperto di esecuzione penale, Riccardo De Vito, giudice del Tribunale di Nuoro: “Additiva di principio non significa rinviare l’attuazione della decisione a dopo l’intervento - del tutto eventuale - del legislatore. Sul punto la pronuncia è stata chiara, invocando espressamente, qui e ora, “l’azione combinata del legislatore, della magistratura di sorveglianza e dell’amministrazione penitenziaria, ciascuno per le rispettive competenze” ad “accompagnare una tappa importante del percorso di inveramento del volto costituzionale della pena”. La sentenza, dunque, può e deve trovare applicazione a partire da domani e tutti coloro che lavorano attorno al penitenziario, nella propria sfera di competenza, devono lavorare per renderne possibile l’esecuzione”. 

Per finire, voglio ricordare che nel 1998 uscì il numero zero di Ristretti Orizzonti, che coraggiosamente affrontava il tema più spinoso dell’esecuzione penale “Sesso: un po’ di verità”. E oggi, nel 2024, quella sentenza ci fa capire che abbiamo lottato per qualcosa, ma che non bisogna abbassare la guardia.

Speriamo che la politica tutta capisca che ha una occasione storica per contribuire a rendere più umane le carceri, ma anche la vita di tante famiglie, e che non deve succedere come con i banconi nelle sale colloqui, che fra dieci anni siamo ancora qui a pregare i direttori e il DAP di rispettare la legge.

Il Capo del DAP, Giovanni Russo, ha dimostrato attenzione e sensibilità su questi temi, alcuni direttori hanno iniziato, come gli chiede la sentenza, a muoversi IN FRETTA per rispettare la Costituzione, ognuno deve fare la sua parte senza nessun indugio.

Al sottosegretario padovano Andrea Ostellari, con cui più volte il Volontariato e il Terzo Settore si sono confrontati, chiediamo di continuare questo confronto proprio sul tema dell’amore in carcere: siamo infatti convinti che sia una cosa bella e importante se a Padova si inaugureranno presto i primi colloqui riservati, intimi, d’amore tra, come dice la Corte, “la persona detenuta e quella ad essa affettivamente legata”.

A chi si occupa di informazione invece, come faccio io ma stando “dall’altra parte” dei cancelli del carcere, chiediamo di non usare toni rombanti e forzature: oggi più cha mai, per affrontare il delicato tema dell’amore in carcere, c’è bisogno di quella tenerezza che, come ha detto Papa Francesco, “è un modo inaspettato di fare Giustizia”.

*Presidente della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia e direttrice di Ristretti Orizzonti