di Giusi Fasano
Corriere della Sera, 19 febbraio 2023
Disse “ucciditi” a una sua amica. Che poi tentò il suicidio. La sua storia è diventata uno strumento contro il cyberbullismo nelle scuole. “Ma ammazzati”. Amy lo disse senza pensarci troppo, era furente. In diretta Instagram la sua amica Emma aveva detto davanti ad altri cose per lei imperdonabili. I toni si erano accesi in un attimo, Amy si era sentita ferita, delusa. “Perché non ti ammazzi?” si arrabbiò. Diretta chiusa e fine dell’amicizia.
Lo sconforto - Aveva 14 anni, Amy. Come succede spesso a quell’età lo sconforto durò poco. Nella sua vita entrarono nuove amicizie e mille altre dirette Instagram. Tutto scritto nel copione dell’adolescenza. Finché un giorno — quando di anni ne aveva ormai 16 — fu convocata dai carabinieri della sua città (Milano) per comunicazioni urgenti. Ci andò con i genitori e scoprì di essere stata denunciata per istigazione al suicidio con l’aggravante del mezzo tecnologico. Non credeva a quello che le stavano dicendo.
Emma, della quale aveva perso le tracce dopo la vecchia litigata, aveva seguito il suo “consiglio”, diciamo così. Dopo quel battibecco via Web gli amici l’avevano isolata e lei aveva davvero provato a togliersi la vita, più volte. Da quel giorno per Amy è cominciato un percorso giudiziario e personale chiuso di recente (a 18 anni) in modo davvero singolare: con un fumetto che racconta la sua storia (edito da Pepita Onlus) e che è diventato strumento contro il cyberbullismo nelle scuole. Un passo indietro.
La prova - Invece di processarla la giudice ha scelto per lei la via della messa alla prova. È una specie di patto fra te che hai commesso il reato e lo Stato. Vengono decise prove da superare: per lo studio, per la consapevolezza, per la crescita del senso della legalità etc etc. Se le superi niente più processo, quindi niente rischio di condanna e di carcere, nessuna traccia nel certificato penale. Avrai una seconda chance. Ecco. Amy ha superato le sue prove. E l’ultima è consistita nel raccontare a se stessa e al mondo il suo percorso di consapevolezza, nel rielaborare quel che è successo, soprattutto nel capire il disvalore di quell’”ammazzati” urlato a una persona fragile com’era Emma. Ha fatto tutto questo attraverso i disegni di Cecilia Spalletti, che è anche una delle educatrici di Fondazione Carolina, a cui la giudice aveva affidato una parte del percorso di Amy. Fondazione Carolina è nata nel nome di Carolina Picchio, la quattordicenne di Novara che dieci anni fa si uccise per i seimila like e i commenti offensivi sotto un video diffuso via Facebook: vide una se stessa sconosciuta in balìa di ragazzi con i quali aveva passato una serata bevendo un po’ troppo... Scrisse una lunga lettera (“Le parole fanno più male delle botte”, diceva una frase), aprì la finestra e si buttò giù.
Testimonial - Suo padre Paolo è diventato testimonial antibullismo, ha creato la Fondazione — guidata da Ivano Zoppi — e in questi dieci anni ha incontrato e aiutato migliaia di ragazzi adolescenti e pre-adolescenti. Amy è una di loro. È felice che nelle scuole venga mostrato il fumetto della sua storia (titolo: Amy, una seconda opportunità) anche se per ora non se la sente di partecipare agli incontri. “Ho commesso un errore”, dice, “ma con il tempo sono riuscita a mettere in ordine le emozioni fortissime che ho provato: paura, incertezza, impotenza... Ora sento dentro di me la speranza”.