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di Alessandra Ziniti

La Repubblica, 9 gennaio 2024

“Ogni volta che qualcuno muore in carcere così riemerge la rabbia per Stefano”. La senatrice era stata contattata poche ore prima dalla mamma del 23enne poi impiccatosi nella sua cella di Ancona. “I miei figli mi hanno consolato: mamma, non devi sentirti in colpa”. “Tutte le volte che un ragazzo muore in carcere in modo assurdo e inconcepibile come è successo venerdì ad Ancona provo la stessa rabbia, lo stesso dolore, la stessa frustrazione che ho provato per Stefano. Purtroppo per Matteo non sono riuscita a far nulla e questo mi lascia un profondo senso di angoscia”. Ilaria Cucchi è ancora sconvolta dalla notizia della morte di Matteo Concetti, il 23enne di Fermo, con una patologia psichiatrica, impiccatosi venerdì pomeriggio nella sua cella di isolamento del carcere di Ancona solo poche ore dopo aver annunciato l’intenzione di uccidersi durante il colloquio con i genitori.

La mamma di Matteo quel giorno era riuscita a mettersi in contatto con lei alle 14 del pomeriggio. Le aveva chiesto aiuto ma prima che lei potesse muoversi è arrivata la notizia del suicidio. È così?

“Sì, era venerdì e stavo rientrando a Roma. Ho ascoltato il racconto della signora Faraglia, ho condiviso le sue preoccupazioni e le ho assicurato che oggi, alla ripresa, avrei subito chiamato il Dap per verificare la situazione e vedere cosa era possibile fare. Alle 20, quando mi è arrivata la notizia, mi è montato un enorme senso di colpa. E se avessi subito provato a chiamare qualcuno, forse avrei potuto salvare quella vita? Mi sono sentita schiacciata da questa nuova tragedia, ho avuto bisogno del conforto dei miei figli per riprendermi”.

Cosa le hanno detto i suoi figli?

“Che non era colpa mia, come naturalmente non era colpa della mamma che - davanti allo stato d’animo del figlio - si è rivolta a tutti coloro che avrebbero potuto e dovuto fare qualcosa. La mia rabbia, la mia frustrazione è anche per tutti coloro che sono costretti a vivere il carcere in quelle condizioni e questo vale anche per gli agenti penitenziari, i medici, gli infermieri. Ma soprattutto la mia frustrazione nasce dalla consapevolezza che della morte di un ragazzo come Matteo e più in generale dei detenuti continua a non interessare a nessuno. Il concetto generale è: se sono in carcere se lo sono cercato, stiano lì e buttiamo via la chiave”.

La mamma di Matteo lo aveva invitato a resistere due giorni, gli stessi due giorni che lei si proponeva per intervenire presso il Dap. Si poteva fare qualcosa per salvare questa vita?

“Razionalmente né io né la mamma abbiamo nulla da rimproverarci. Gli unici che avrebbero dovuto intervenire subito sono tutte le persone che in quelle ore, a contatto con quel ragazzo, hanno dato prova quantomeno di una totale mancanza di sensibilità e di cultura e coloro che sono responsabili di un sistema carcerario totalmente allo sbando. Quando parliamo di carceri sovraffollate parliamo di celle piene anche di tante persone con patologie psichiatriche come Matteo, di tossicodipendenti, di detenuti per reati minori, che non dovrebbero stare in carcere. Ma io sento parlare solo di costruirne di nuovi, come se questa fosse la soluzione. È da quando sono bambina che sento parlare di carceri al collasso. Il mio vissuto, la tragica perdita di Stefano, non potranno mai essere cancellati dal tempo, ma questo tempo è almeno riuscito a trasformare la rabbia in qualcosa di positivo, di attivo, di sostegno degli ultimi. E Matteo era l’ultimo degli ultimi”.