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di Laura Berlinghieri

La Stampa, 14 giugno 2023

Condannata a sei mesi di carcere per detenzione di stupefacenti. È questo il finale della sentenza letta ieri. Questa la gravità della sentenza pronunciata contro Ilaria De Rosa, hostess trevigiana di 23 anni, trovata il 4 maggio dalla polizia saudita con uno spinello nascosto nel reggiseno. Lei si è sempre professata innocente. Le crede la madre, Marisa Boin, che continua a parlare di un “errore”, sostenendo che la figlia “conosce bene le regole dell’Arabia Saudita e mai avrebbe fatto una cosa simile”.

Non le crede il giudice monocratico dell’Arabia Saudita, che ieri l’ha condannata. Anche di fronte all’ennesima ricostruzione, che la 23enne ha potuto esporre solo in videocollegamento dal carcere. Anche dopo le tre udienze nelle quali gli altri imputati al processo si sono addossati ogni colpa, scagionando la ragazza italiana.

Il dispositivo della sentenza sarà depositato entro cinque giorni, a quel punto la famiglia avrà disposizione un mese per decidere di proporre appello. Intanto la Farnesina fa sapere di avere già fatto richiesta di una nuova visita consolare, per permettere alla 23enne di vedere la sorella Laura, che, in Arabia Saudita da alcuni giorni, ieri ha assistito alla lettura della sentenza proprio dall’aula del tribunale, assieme al console italiano a Gedda, Leonardo Maria Costa. Sperava di vedere Ilaria già ieri, ma non è stato così: il suo volto è stato proiettato in collegamento video. Provata, ma in buone condizioni di salute.

Hostess per la compagnia lituana Avion Express, Ilaria De Rosa è sprofondata in questo incubo il 4 maggio. Si trovava a Gedda, a una festa, nel giardino di una villa in un compound. Era in compagnia di alcuni amici tunisini, quando è stata raggiunta da una decina di uomini. “Ci hanno circondati, erano armati. In borghese. Pensavo fosse una rapina”, avrebbe confidato dal carcere, al console italiano. Erano poliziotti. L’hanno perquisita - riferisce lei: in maniera piuttosto invadente - trovando uno spinello nel suo reggiseno.

Ma è una ricostruzione a cui non credono i familiari di Ilaria: sia perché la ragazza non fuma, sia perché era perfettamente a conoscenza della severità della legge saudita. Figlia della “generazione Erasmus”, è nata a Treviso, ma poi ha lavorato alla Nato, ha vissuto a Maastricht, conosce cinque lingue. E da qualche mese si era trasferita a Gedda. Da buona cittadina del mondo (assicura chi la conosce), mai avrebbe commesso una tale leggerezza. Dopo la perquisizione, la 23enne è stata portata via dalla polizia saudita.

Racconta di avere capito di essere stata arrestata soltanto una volta condotta in una stazione di polizia, e poi di essere stata formalmente interrogata soltanto cinque giorni dopo. Un primo epilogo di questa storia è arrivato ieri. Oltre a lei, il giudice monocratico saudita ha condannato, con pene più severe, altri tre uomini che quella sera erano presenti alla festa. Si tratta un saudita, di un tunisino e di un egiziano, tutti dovranno scontare un anno e sei mesi di carcere.

Dopo la retata, i genitori della 23enne non erano più riusciti a mettersi in contatto con la figlia. Il telefono squillava a vuoto, i messaggi sempre senza risposta. Una situazione che li ha fatti preoccupare, dato che i contatti con la ragazza erano quotidiani. Quattro giorni dopo la sua scomparsa, la madre ha sporto denuncia ai carabinieri di Castelfranco, cittadina del Trevigiano, a poca distanza da Resana, il paese di origine di Ilaria.

La notizia dell’arresto è arrivata il giorno stesso, dalla Farnesina, ed è stata una doccia fredda. Ilaria è detenuta a 45 chilometri da Gedda da più di quaranta giorni. La sorella Laura chiede di poterla visitare, per vedere come sta e, soprattutto, per vedere con i suoi occhi le condizioni del carcere. Anche questo è un pensiero fisso per la famiglia di Ilaria, dato che la legge saudita proibisce agli ex detenuti di raccontare le condizioni in cui si trovavano, in cella. Circostanza che aggiunge preoccupazione alla preoccupazione. Intanto la Farnesina assicura l’attenzione costante al caso: “Nel rispetto della decisione della magistratura locale, il Consolato Generale a Gedda e l’Ambasciata d’Italia a Riad, in stretto raccordo con la Farnesina, stanno prestando tutta l’assistenza possibile alla connazionale Ilaria De Rosa e ai familiari”, è la nota emessa dopo la lettura della sentenza. Un’attenzione importante, ma che non anestetizza l’angoscia.