sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Guido Olimpio

Corriere della Sera, 16 dicembre 2023

Chi contesta il sistema finisce subito nel mirino del principe. Che alle accuse risponde: “è la legge” in una monarchia assoluta. Vale per Vladimir Putin, vale per gli ayatollah iraniani, vale per la Siria di Assad, vale per Mohammed bin Salman: non solo è ingiusto ma è anche pericoloso fare concessioni in nome della ragion di Stato. Gli interessi nazionali vanno tutelati, ampliati, rafforzati. Viviamo in una realtà ad alta concorrenza, non è un mondo di fiabe, impensabile troncare alla radice i rapporti con regimi o personalità sgradite. Tuttavia, devono esserci garanzie, limiti, valvole di sicurezza in un’arena dove non sono poche le ambiguità.

E nel caso saudita non possiamo non partire dal 2 ottobre 2018, una data vicina che però sembra ad alcuni lontana. Quel giorno Jamal Khashoggi, giornalista saudita, voce del dissenso verso l’attuale leadership ma con sponde nel regno, residente negli Stati Uniti, è attirato con una scusa burocratica nel consolato di Istanbul, in Turchia. Deve sistemare i documenti, è il gancio usato dai suoi interlocutori. Le telecamere di sicurezza ne tracciano le ultime mosse nella città del Bosforo, registrano il suo ingresso nell’edificio. Jamal non è mai più riapparso, svanito, inghiottito da un’operazione segreta.

La ricostruzione più accreditata racconta di un’aggressione all’interno della sede diplomatica, probabilmente un tentativo di narcotizzarlo per rapirlo. Manovra finita in tragedia. Oppure un’azione che doveva concludersi con la sua eliminazione. Del suo corpo non resterà traccia, solo voci con versioni brutali dell’epilogo: fatto a pezzi da un medico esperto di autopsie, sepolto da qualche parte, bruciato. Una missione eseguita da un team dei servizi in collaborazione con alcuni uomini della cerchia del principe Mohammed bin Salman. L’ordine era di neutralizzarlo a conclusione di una lunga campagna di minacce, pressioni, moniti affinché l’oppositore tornasse in patria ad affrontare il suo destino. Si è a lungo discusso sul livello di responsabilità dei vertici, sono riemersi gli scenari consueti in questi casi di iniziative sfuggite di mano, di esecutori più realisti del re, che si spingono oltre le disposizioni e ritengono di non avere limiti. Ma sono distinzioni investigative che non cambiano la sostanza, non alleggeriscono le responsabilità di chi è in cima alla piramide del potere.

La Turchia - I turchi, infuriati in pubblico, hanno indagato e promesso di far luce, hanno evocato ritorsioni e indossato i panni dei paladini. Sdegno alla fine cosmetico. Furbescamente Erdogan il Sultano ha alzato i toni, passato notizie truci sul delitto ai media, però ha trattato sottobanco con il regno. Ha visto l’occasione per ottenere un risarcimento organizzando un vero bazar sulla salma - introvabile - di Khashoggi. Ed ha incassato investimenti massicci da parte dei sauditi. Un accordo con la scusa che sarebbe stato il regno a fare giustizia. E, sul piano formale, a Riad lo hanno fatto. Quasi un anno dopo un tribunale saudita ha condannato alla pena capitale cinque accusati, per altri tre solo lunghe pene detentive, assolto l’ex numero della sicurezza, non toccate figure chiave che hanno partecipato all’agguato. In seguito, le sentenze capitali sono state commutate in 20 anni di prigione. Caso chiuso per loro. Un verdetto di comodo, una scorciatoia per voltare pagine offrendo una sentenza alla platea globale. Sempre che all’estero avessero grande attenzione per un delitto atroce. Il principe è apparso sorridente al fianco del leader del Cremlino (altrettanto disteso), ha continuato ad avere contatti a 360 gradi, ha incontrato Joe Biden nel 2022, ha proseguito la sua danza.

Salman, dopo aver definito il delitto un errore, ha assicurato che tutto sarebbe cambiato in nome dei grandi progetti di riforma del Paese. Piani che prevedono sviluppi in ogni campo e che si rivolgono anche agli investitori stranieri. Il seguito del dramma Khashoggi, però, ha raccontato altro. La repressione mirata nei confronti di chi dissente non è diminuita. Il Washington Post, nell’anniversario della morte di Jamal, ha descritto un elenco di episodi con misure severe nei confronti di donne e uomini finiti nel mirino per aver osato contestare il sistema. Non terroristi, militanti armati, sabotatori, bensì individui che hanno espresso semplici opinioni. I giudici hanno usato la mano pesante, alcuni staranno in cella per oltre vent’anni, un altro potrebbe salire sul patibolo. Scarse le reazioni all’estero. La crisi economica, la necessità di reperire risorse energetiche, l’esigenza di avere relazioni ad ampio spettro, un quadro globale instabile hanno spinto tutti i governi a tenere conto di alcuni parametri. È impossibile o quasi chiudere completamente i canali di contatto con sistemi che violano i principi elementari. Si dice di farlo, poi però affari e necessità portano a chiudere un occhio o entrambi. Se lasci un vuoto sarà un tuo concorrente a riempirlo, ingolosito da nuovi contratti trasformati in esche sostanziose da Riad, consapevole di debolezze e desideri. La sua posizione geografica, i pozzi petroliferi, le ricchezze me aumentano la forza contrattuale. Per questo i sauditi - non sono gli unici - giocano costantemente su più tavoli. La partnership con l’Ovest è solida, acquistano di tutto e di più, sono difesi da nostri apparati. Tuttavia, sono veloci nell’avvicinarsi, per ragioni tattiche e su questioni specifiche, ai rivali dell’Occidente, a cominciare dalla Russia del neo-zar e dai cinesi, certamente indifferenti se il regno soffoca il dissenso. Anzi, dimostrano comprensione, distinguo, persino assoluzione guadagnando spazi di manovra. Possiamo chiedere a Salman garanzie, prendere per buone quelle che vengono offerte, ma non avremo mai la sicurezza di un impegno solenne. Neppure se accompagnato da un documento con il sigillo reale o in carta bollata. Sono regimi con meccanismi particolari, dove le istituzioni sono modellate a seconda dei voleri del “sovrano”. Proprio Salman, ad una domanda specifica su una condanna durissima nei confronti di un contestatore, ha risposto in modo semplice: è la nostra legge.