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di Simone Alliva

L’Espresso, 5 febbraio 2023

Il magistrato difende la formula del carcere duro tornata alla ribalta nel caso dell’anarchico Alfredo Cospito. “La contrapposizione nel campo degli strumenti giudiziari sta raggiungendo un livello preoccupante”.

“Rinunciare al 41 bis otto la pressione di gruppi, di esponenti o di singoli, rappresenterebbe un segno di debolezza dello Stato”. Non usa mezzi termini Sebastiano Ardita, magistrato antimafia, già direttore del Dap per 9 anni, mentre commentando il caso Alfredo Cospito, l’anarchico trasferito al carcere di Opera a Milano per l’aggravarsi delle sue condizioni dopo più di cento giorni di sciopero della fame.

Un tema che resta aperto dopo il parere consegnato dalla Procura nazionale antimafia e antiterrorismo al ministro della Giustizia Carlo Nordio: Alfredo Cospito può restare al 41 bis oppure tornare al regime di alta sicurezza, con tutte le dovute cautele, pur ribadendo che fu fondata la decisione del 5 maggio del 2022 di applicargli il carcere duro. Il consigliere del Csm, per anni coordinatore di delicate indagini antimafia fra Catania e Messina e profondo conoscitore di Cosa Nostra, vede nella discussione che apre al dibattito sull’utilità del 41 bis: “Un livello di contrapposizione nel campo degli strumenti giudiziari sta raggiungendo un livello molto elevato e preoccupante”

Consigliere Ardita, il dibattito scatenato dal caso di un detenuto in gravi condizioni di salute per via dello sciopero della fame sta mettendo in discussione (pubblicamente) il 41 bis. Che idea si è fatto del caso Cospito, considerando anche che il detenuto a regime non appartiene a una organizzazione piramidale e gerarchica?

“È una situazione complessa quella che si è venuta a creare. Si è inizialmente scelto di applicare per la prima volta ad un appartenente all’area anarchica insurrezionalista una misura estrema come quella del 41 bis dell’ordinamento penitenziario, molto efficace contro le organizzazioni criminali. Si tratta di una decisione ritenuta legittima anche dalla autorità giudiziaria chiamata a giudicarne i presupposti. È pur sempre una scelta politica e simbolica, e quindi - anche se c’è il rischio di un allargamento del fronte di chi guarda criticamente il 41bis - non è facile pronosticare che il governo faccia un passo indietro”.

Le condizioni di salute possono intervenire per far saltare il meccanismo di prevenzione e sicurezza come il 41 bis?

“Le condizioni di salute possono e devono essere affrontate a prescindere dal regime, ma qualsiasi cura prevede la collaborazione della persona a cui viene dedicata”.

Ormai siamo consapevoli di alcune intercettazioni provenienti dal carcere in cui Cospito parlava contro il 41-bis con un mafioso. Questo legame dovrebbe preoccuparci?

“Certo che preoccupa perché dà la misura di come Cosa nostra non si faccia alcuno scrupolo nel cercare strade comuni per evitare il 41 bis”.

Non le pare che l’attacco al 41-bis da parte di alcuni boss mafiosi in carcere possa oggi trovare sponde nel dibattito pubblico?

“Di fatto ne ha sempre avute ma adesso ne sta trovando di nuove”.

La Giunta dell’Ucpi (Unione Camere Penali) ha espresso “apprezzamento, solidarietà e sostegno per la dura azione non violenta con la quale un detenuto in regime di 41 bis, il signor Alfredo Cospito, ha inteso denunziare con forza, a rischio della propria vita, l’incivile barbarie di quel regime detentivo”. Che ne pensa?

“Mi viene da pensare che la contrapposizione nel campo degli strumenti giudiziari sta raggiungendo un livello molto elevato e preoccupante. Ma penso anche che in una democrazia, oltre al rispetto per le opinioni di tutti, deve esistere il primato della legge come espressione della volontà popolare. Specialmente quando la sua applicazione serve a garantire la vita, la libertà e l’incolumità fisica di persone innocenti. E penso che rinunciare a strumenti di tutela collettiva, come è il regime 41 bis contro la mafia, sotto la pressione di gruppi, di esponenti o di singoli, rappresenterebbe un segno di debolezza dello Stato”.