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di Gaia Papi

La Nazione, 19 aprile 2023

Le critiche dell’associazione “Nessuno tocchi Caino” in visita al penitenziario. “Intervento sbagliato: ora servono altri lavori molto lunghi e complessi”. “Una struttura vecchia, dove ormai da più di dieci anni sono in corso lavori di ristrutturazione. Arezzo è la metafora dell’instabilità del ruolo delle carceri italiane. Un luogo di contenimento, ma non rieducativo”. È un quadro preoccupante quello tratteggiato da Elisabetta Zamparutti, dirigente di “Nessuno tocchi Caino”, l’organizzazione in visita nelle carceri toscane. “Non solo per un’opera di misericordia, ma per ascoltare i detenuti, verificare le loro condizioni di vita e raccontarle” spiegano. Ieri, l’iniziativa “Il Viaggio della speranza” è partita da Arezzo, in collaborazione con le Camere Penali, presente anche la presidente di Nessuno Tocchi Caino, l’ex parlamentare radicale Rita Bernardini. “Nel tempo sono stati effettuati lavori di impiantistica, di rifinitura, ma nessuno si era reso conto che molte delle porte delle celle erano strette. È incredibile” commenta Zamparotti al termine della visita a San Benedetto.

“È chiaro che adesso i lavori per rimetterle a norma richiederanno tempi molto lunghi, anche perché si tratta di modificare muri portanti”. Il carcere di San Benedetto è stato completato nel 1926, periodo che di certo non teneva conto delle regole attuali, modificate nel tempo, e neanche delle misure che sarebbero state via via imposte.

“Le condizioni di detenzione sono inadeguate. In alcune celle della sezione di prima accoglienza i bagni non sono completamente separati dalla zona in cui dormono i detenuti. Sono celle di sette metri quadrati con un letto a castello per due persone e, alle spalle dello stesso, un water; immaginatevi la privacy” continua Zamparotti.

E ancora, “Non c’è sufficiente luce naturale. Per poter leggere un libro è necessario accendere quella artificiale. E che dire della sezione Chimera dove i detenuti, di media sicurezza, dormono in stanzoni con quattro posti letto, caratterizzati da varie criticità. Motivo per il quale la socialità tra i carcerati avviene nei corridoi”. Problemi a cui però fa da contraltare una buona relazione tra detenuti e polizia penitenziaria. “Il carcere era stato realizzato per 104 detenuti, sono invece circa una trentina quelli presenti per le difficoltà strutturali, a fronte di 40 agenti penitenziari, un educatore e uno psicologo. Niente da dire sulla comunità che si è creata all’interno del San Benedetto” spiega la dirigente.