di Alessandro Fioroni
Il Dubbio, 24 febbraio 2023
Al centro il processo a Cristina Kirchner, la riforma della giustizia e le tasse regionali Con l’esecutivo peronista che accusa i giudici di lavorare per l’opposizione di destra. In Argentina è scontro frontale tra il potere giudiziario e quello esecutivo. Una crisi istituzionale che si è trasformata in un conflitto politico a pochi mesi dal voto che in ottobre designerà il nuovo presidente che dovrebbe sostituire Alberto Fernandez, giunto al suo ultimo anno di mandato ma con una popolarità ormai a pezzi.
L’economia è in forte recessione, l’inflazione si avvicina al 100% mentre sulla sua gestione pesano gli scandali e i processi per corruzione che hanno travolto la vice presidente Cristina Kirchner. Il governo peroniosta accusa la magistratura di favorire l’opposizione di destra guidata dall’ex presidente Mauricio Macrì.
Fin dall’inizio della sua amministrazione, Fernández ha proposto al Congresso una radicale riforma del sistema giudiziario federale, tuttavia il progetto non ha avuto una vita lunga. Da quel momento in poi la tensione tra la Casa Rosada e la giustizia è cresciuta esponenzialmente. Il culmine si è raggiunto il 6 dicembre scorso, quando la vicepresidente è stata condannata a 6 anni di carcere. Dopo solo 15 giorni, la Corte Suprema ha dato torto al governo in una causa intentata dalla città di Buenos Aires, in mano all’opposizione, sulla distribuzione nazionale del denaro delle tasse. A fine gennaio Fernández ha convocato sessioni straordinarie del Congresso per discutere una richiesta di impeachment contro 4 giudici della Corte Suprema.
A tutto questo si aggiunge un progetto per portare a 15 il numero dei magistrati dell’Alta corte. L’attacco del governo e dell Alleanza peronista al potere (Frente de Todos) si basa su un accusa di scarso rendimento. In parole povere i giudici vengono indicati come coloro che portano attacchi arbitrari ai poteri costituzionali assegnati, cioè ai rami esecutivo e legislativo. Ma esiste anche una questione riguardante l’effettivo potere politico della Corte che ha dichiarato incostituzionale una legge del 2006, con quel provvedimento la Suprema era stata esclusa dal Consiglio della magistratura, l’organo che elegge e giudica i giudici. In questa maniera una legge abrogata dal Congresso è stata così riportata in funzione.
Ma è anche la stessa giustizia a non godere di buona salute, un fatto che fa comprendere perché si sta combattendo questa guerra senza esclusione di colpi. Lo dimostra un recente sondaggio realizzato dall’Università di San Andrés dal quale emerge che il 59% degli intervistati ha dichiarato di avere un’immagine pessima della magistratura. A questo punto il pericolo maggiore e che la crisi si avviti bloccando il funzionamento delle istituzioni, infatti se e vero che il governo ha i voti sufficienti per formare una commissione che porti avanti l’impeachment contro i giudici, e altrettanto vero che l’accusa non sembra poter andare molto lontano. Insieme per il Cambiamento, la coalizione che riunisce la destra, ha già anticipato che respingerà l’iniziativa peronista perché ritiene che minacci l’ordine repubblicano. E se il governo insisteva nelle sue intenzioni, ha minacciato di paralizzare il Congresso.
Come ha riconosciuto il presidente della Corte Suprema Horacio Rosatti, il problema è che la magistratura assume su di sé conflitti che la società e la politica non sono in grado di risolvere. In questa maniera i cittadini vedono “che la giustizia si muove lentamente, non correttamente o che non agisce a loro favore”. Rosatti ha definito ciò come una “giudiziarizzazione dei conflitti”. L’esempio più lampante è la distribuzione delle tasse federali Nel 2016, il governo di Macri ha aumentato dall’ 1,4% al 3,75% la quota corrispondente alla città di Buenos Aires, sua principale roccaforte elettorale. Arrivato alla Casa Rosada, una delle prime misure di Fernandez fu quella di abbassare quella percentuale. Il risultato fu che la vicenda finì in tribunale.