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di Francesco Mazzotta

Corriere del Mezzogiorno, 30 novembre 2023

Armando Punzo racconta la storia della Compagnia della Fortezza, da lui creata nel 1988. Nikola Tesla, lo scienziato che dà il nome alle auto elettriche di Elon Musk, ebbe molti lampi di genio. D’altronde, fu il più grande inventore della modernità. Si fantastica fosse nato durante una notte di fulmini. E per questo venne soprannominato Figlio della tempesta, come il titolo dello spettacolo in scena sabato ai Cantieri Koreja di Lecce firmato da Armando Punzo per la Compagnia della Fortezza, da lui fondata nel 1988 nel carcere di Volterra. Ma Musk c’entra ben poco, anzi niente.

Punzo, vogliamo partire da qui?

“Il personaggio di cui parliamo è il figlio di una tempesta, ma una tempesta creativa. E Tesla è una passione di Andreino Salvadori, il musicista che mi accompagna sul palco”.

Vale a dire l’autore di tante colonne sonore per la compagnia...

“All’inizio voleva realizzare un concerto con molte di queste musiche, sulle quali poi abbiamo costruito un racconto di quello che abbiamo realizzato, maturando l’idea che dovessi esserci pure io in scena. Ci sono tanti miei monologhi, ma anche diversi dialoghi, attraverso i quali sveliamo la nostra convivenza in quel teatro nel quale lavoriamo da oltre trent’anni”.

Un teatro nato in carcere: una forma di salvezza per chi lo porta, non solo per chi lo fa?

“Diffido della parola “salvezza” perché mette davanti l’aspetto sociale. Non sono entrato in carcere per il carcere, come vedo fanno molti oggi. Venivo dall’esperienza con il gruppo Avventura legato al teatro di Grotowski e a Volterra avevo creato l’associazione culturale Carte Blanche, proprio davanti al penitenziario di Volterra. Un giorno ho alzato lo sguardo e sono rimasto folgorato dalla metafora della prigione nella quale tutti noi siamo rinchiusi. E ho cercato di trovare una soluzione per me, come artista”.

Però è indubbio che riesca a portare i detenuti, anche solo con la mente, oltre le sbarre...

“È chiaro che quest’esperienza ha degli effetti su di loro. Ma il teatro ha soprattutto un grande potere di crescita. E, sia chiaro: la mia idea di teatro va oltre il compito della rieducazione, della risocializzazione, questioni che tolgono potenza all’atto creativo. Spesso chi assiste in carcere ai nostri spettacoli, all’inizio pensa di venire a vedere gli animali in gabbia. Il nostro compito è disorientarlo”.

Non ha apprezzato il film “Grazie ragazzi” di Antonio Albanese, nel quale, peraltro, recitava Nicola Rignanese, a lungo suo assistente alla regia?

“Albanese racconta l’esatto opposto di ciò che ho fatto in tutti questi anni. Ma penso anche a “Cesare deve morire” dei fratelli Taviani, dove il teatrocarcere è servito a fare un film sulla mafia. L’hanno molto premiato. Ma credo ci fosse molto poco da lodare”.

Dove sta la potenza del suo teatro?

“Nel processo creativo, nel permettere ad ognuno di trovare il proprio posto, la propria dimensione, dopo un lungo percorso di allontanamento da se stessi”.

Lavorare con attori non professionisti è un vantaggio?

“È diverso. Per questo sono andato in carcere, per sviluppare un teatro che ci appartenesse. Anche se dopo un po’ di anni anche loro diventano professionisti. In scena portiamo un distillato delle loro illuminazioni ed esplosioni, del loro darsi in una dimensione altra agli spettatori, rispetto ai quali lo spettacolo deve essere più forte, se vuole far dimenticare la realtà”.

La Compagnia della Fortezza riuscirà a diventare teatro stabile?

“Siamo alle fasi finali. L’archistar Mario Cucinella ha vinto il bando per la realizzazione della struttura all’interno del carcere di Volterra. Ci servirà anche per fare molto meglio le attività di formazione. E per portare avanti il progetto “Per aspera ad astra” nel quale sono state coinvolte, su modello della nostra compagnia, tante esperienze nelle carceri italiane. E mi fa piacere ci sia anche il Kismet con la sua attività all’Istituto per minori Fornelli di Bari”.