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di Dario Ferrara

Italia Oggi, 12 dicembre 2022

Dalla riforma le alternative al carcere fino a quattro anni: una nuova sfida per gli Uepe. Arriva un nuovo modello per la giustizia di comunità dalla riforma del procedimento penale che entrerà in vigore il 30 dicembre. È la risposta all’annoso problema dei “liberi sospesi”, vale a dire i soggetti ammessi finora a fruire delle misure alternative al carcere soltanto dopo molto tempo dal compimento del reato: le sanzioni che sostituiscono le pene detentive brevi, invece, sono ora comminate direttamente dal giudice della cognizione, all’esito di un’udienza di sentencing, secondo il modello anglosassone il tutto entro termini sicuramente più vicini ai fatti per i quali si procede.

Le pene disponibili al posto di reclusione e arresto sono: semilibertà detenzione domiciliare lavoro di pubblica utilità pena pecuniaria. Sale da due a quattro anni il limite massimo di pena sostituibile. Vengono soppresse le misure della semidetenzione e della libertà controllata. Scattano la semilibertà e la detenzione domiciliare al posto del carcere entro il tetto di quattro anni di reclusione, mentre è previsto il lavoro di pubblica utilità in luogo della cella fino a tre anni. Raddoppia da sei mesi a un anno la soglia per la detentiva sostituibile con la pena pecuniaria. La durata di semilibertà e detenzione domiciliare è pari a quella della sanzione detentiva sostituita.

Una grande sfida, dunque, per gli uffici per l’esecuzione penale esterna (Uepe), le strutture diffuse sul territorio chiamate a gestire i progetti per il reinserimento sociale dei condannati. Il tutto con una “forte spinta deflattiva” per ridurre il volume complessivo degli affari penali e decongestionare le carceri, grazie a “misure fortemente orientate alla risocializzazione”. Insomma: “Un cambio di passo decisivo per l’inveramento di un paradigma di giustizia di comunità al servizio di tutti i cittadini, della loro sicurezza e del loro benessere”, spiega la circolare 3/2022 emessa dalle competenti strutture del ministero di via Arenula, che fa il punto sulle modifiche apportate dal decreto legislativo 150/22 alla legge 689/81 oramai al countdown (salvo norme transitorie dell’ultima ora: al momento non figurano cambiamenti in materia negli emendamenti proposti dal Governo al decreto legge 162/22). Il tutto mentre il dicastero della Giustizia si prepara a implementare il portale per i lavori di pubblica utilità sul suo sito web.

Rapporto flessibile. Addio alla semidetenzione in luogo del carcere fino a due anni. Sale a quattro anni il tetto di pena entro cui il giudice che pronuncia la condanna può decidere di applicare la semilibertà sostitutiva. E scende da dieci a otto ore al giorno la frazione minima della giornata da trascorrere in carcere: aumenta il tempo destinato allo svolgimento al trattamento rieducativo. È l’ufficio di esecuzione penale esterna competente per territorio che progetta, realizza e sostiene il percorso di reinserimento: la parte del giorno trascorsa fuori dal carcere risulta destinata allo svolgimento di attività di lavoro, studio, formazione professionale o comunque utili alla rieducazione. E spetta sempre all’Uepe il compito di assistere il condannato in libertà, oltre che vigilare su di lui. Cosa cambia rispetto alla misura abrogata e alla semilibertà come misura alternativa? Nel nuovo istituto i luoghi frequentati nelle ore all’esterno devono essere vicini al penitenziario, mentre i tempi da trascorrere dentro e fuori dall’istituto sono gestiti nell’ambito di un rapporto flessibile. E possono essere modificati in base alle esigenze di trattamento del condannato, fermo restando l’obbligo di trascorrere almeno otto ore nell’istituto di detenzione.

Programma risocializzante. La detenzione domiciliare sostitutiva consente al condannato di rimanere nella sua abitazione privata per almeno 12 ore al giorno per giustificate esigenze di vita familiare, di salute, di lavoro, studio e formazione professionale. In alternativa ci sono comunità, case famiglia e altri luoghi di accoglienza o di cura, pubblici o privati. Rispetto agli spazi fisici la prassi deve adattarsi alle diverse esigenze degli interessati, in primis quando a dover scontare la pena sono le detenute madri. Il tutto in tempi anticipati rispetto a quelli dettati dalla concessione della omologa misura alternativa alla pena detentiva.

Valorizzata la finalità rieducativa della pena: nella fase di condanna alla sanzione di maggiore utilità il giudice può ritenere determinante la presenza di un programma di trattamento individualizzato, elaborato dall’Uepe, che ne cura l’esecuzione e vigila sullo svolgimento. Il progetto risocializzante estende ai prevenuti, pur costretti a stare per diverse ore al giorno in un domicilio idoneo, la possibilità di restare all’esterno per intraprendere percorsi di studio, di formazione e di lavoro: una possibilità che invece risulta difficilmente consentita dall’omonima misura alternativa, che è gestita dalla magistratura di sorveglianza e privilegia le esigenze di custodia necessità, quest’ultima, che anche la nuova pena sostitutiva non trascura: da una parte, infatti, mutua dagli arresti domiciliari le condizioni di svolgimento per alcuni aspetti dell’esecuzione, perché non consente di abitare in immobili abusivi e rende possibile l’adozione del braccialetto elettronico dall’altra parte presta massima attenzione alla tutela della persona offesa, in particolare se è una donna e vittima di violenza domestica.

E quando il condannato indica un domicilio che non risulta adeguato, compete all’ufficio esecuzione penale esterna individuare una soluzione abitativa, ad esempio una comunità: la misura sostitutiva, dunque, affronta un problema molto sentito nelle carceri italiane, piene di detenuti stranieri che devono scontare meno di quattro anni di carcere ma restano fra le sbarre perché non sanno dove andare.

Servizi alla collettività. Per la prima volta il lavoro di pubblica utilità è introdotto come fattispecie sostitutiva della pena irrogata per qualsiasi reato entro i tre anni di carcere: consiste nello svolgimento di un’attività non retribuita in favore della collettività da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, le città metropolitane, i comuni oppure presso enti o organizzazioni di assistenza sociale e di volontariato il tutto, di regola, nella regione dove risiede il condannato. La prestazione è compresa tra sei e 15 ore la settimana, da eseguire con modalità che non pregiudicano le esigenze di lavoro, studio, famiglia e salute del prevenuto (che può chiedere al giudice di essere ammesso al Lpu anche per un tempo superiore).

La durata dell’attività non può comunque superare le otto ore al giorno. E ai fini del computo della pena un giorno di Lpu consiste nella prestazione di due ore di lavoro. Il tetto massimo ordinario di lavoro settimanale risulta fissato in 15 ore in modo per consentire l’espiazione di un mese di pena detentiva in un mese di Lpu: 30 giorni di reclusione o di arresto corrispondono a 70 ore di prestazioni in favore della collettività, che possono essere svolte lavorando 15 ore alla settimana.

Notevoli le conseguenze per il positivo svolgimento delle attività in caso di decreto penale di condanna oppure di patteggiamento: scatta la revoca della confisca, salvi i casi di ablazione obbligatoria, anche per equivalente, del prezzo, del profitto o del prodotto del reato oppure delle cose la cui fabbricazione, uso e porto, detenzione o alienazione costituiscono reato. Ma soltanto se il condannato ha provveduto a risarcire il danno o a eliminare le conseguenze dannose dell’illecito (quando è possibile). Risulta esclusa la revoca della patente di guida, analogamente a quanto previsto per la semilibertà e la detenzione domiciliare sostitutive: si tratta di un incentivo alla sostituzione della pena detentiva con il Lpu, con la correlata inappellabilità della sentenza, che riduce il numero dei procedimenti pendenti in secondo grado, e risponde all’esigenza dei condannati di spostarsi per svolgere l’attività lavorativa, hanno necessità della patente di guida per i propri spostamenti. Come accade nel sistema del giudice di pace penale, il Lpu può essere applicato soltanto con il consenso del condannato: pesa il divieto di lavori forzati o obbligatori di cui all’articolo 4 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.