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di Peppe Ercoli

Il Resto del Carlino, 1 ottobre 2022

Visita di Nessuno tocchi Caino e della Camera Penale: “Un’unica direttrice per Ascoli e Fermo che viene in città due volte a settimana”.

“Essere detenuti nel carcere di Ascoli equivale a una morte civile: non ci sono attività, gli spazio sono angusti, l’igiene è scarsa e c’è un direttore a mezzo servizio”. E’ il quadro emerso giovedì dopo che una delegazione dell’associazione ‘Nessuno tocchi Caino’ e degli avvocati della Camera Penale Ugo Palermi di Ascoli ha visitato l’istituto di pena di Marino, discutendone poi in un incontro sul tema ‘Carceri, misure alternative per contenere la recidiva’, moderato dall’avvocato Rita Occhiochiuso. Nel carcere di Ascoli che ospita un centinaio di detenuti la situazione “è allarmante”. “Col nuovo governo avremo molto da fare ma non ci perderemo di coraggio; quel coraggio, però, che viene a mancare quando si visitano strutture come quella di Ascoli - ha detto Rita Bernardini, presidente di ‘Nessuno Tocchi Caino’-. Non c’è un direttore titolare; la direttrice viene due volte a settimana, per il resto sta nel carcere di Fermo, che dirige. Così non può svolgere bene il suo lavoro né a Fermo né ad Ascoli”. Tra i problemi rilevati quello del lavoro che non c’è. “Ad Ascoli è la morte civile e non solo perché solo quest’anno ci sono stati 5 suicidi: non ci sono attività, nemmeno la scuola e non mi era mai capitato di entrare in un carcere dove non ci fosse nemmeno un corso di alfabetizzazione” ha accusato Bernardini.

“Ci sono i lavori interni, ma pochi e i detenuti denunciano che le ore lavorate sono molte di più di quelle pagate. Succede un po’ in tutta Italia anche perché un carcerato piuttosto che stare in cella preferisce anche lavorare gratis, ma è ingiusto. L’unica cosa che fanno i detenuti nel carcere di Ascoli è passeggiare in un corridoio vuoto. Nell’alta sicurezza stanno chiusi in cella 20 ore al giorno, con due ore d’aria al mattino e due al pomeriggio. Stanno con le reti sopra le loro teste, una parte completamente coperta; non riescono a vedere la luce diretta dal cielo. Solo una volta a settimana possono andare al campo sportivo, più adatto a mio avviso a far pascolare le pecore, ma loro sono contenti di andarci, perché non c’è altro”. Riguardo al ruolo dei magistrati di sorveglianza il giudizio di ‘Nessuno tocchi Caino’ è severo: “Singolarmente saranno persone squisite, ma non assolvono al loro compito che è quello di far fare al detenuto un percorso individualizzato di trattamento che lo porti all’uscita e al reinserimento sociale. Eppure - ha concluso Bernardini - è dimostrato che chi ha goduto della possibilità prevista dalle norme di scontare pene alternative al carcere ha una percentuale di recidiva solo del 10% e questo deve far riflettere”.

“La situazione è peggiorata: per la disperazione si soffocano legandosi al termosifone”

Alla visita in carcere di giovedì c’era anche la Camera Penale di Ascoli, che ha focalizzato l’attenzione sulla situazione dell’istituto di pena e sull’assenza di pene alternative. “Non visitavo il carcere di Marino da quando c’erano i 41 bis, andai con alcuni parlamentari; dopo esserci tornato sono stato colpito in senso gravemente peggiorativo” ha detto l’avvocato Mauro Gionni, presidente della Camera Penale. “Il carcere di Ascoli consente solo di passeggiare, in una sorta di girone dantesco nella sezione “giudiziaria”. Chi sta nell’ex sezione del 41 bis, regime all’epoca di massima sicurezza, vive in un budellino con due o 4 letti con un piccolo tavolinetto, un piccolo spazio per passare, con materassi in gomma piuma che hanno molto colpito negativamente, in condizioni igieniche discutibili. Hanno un piccolo ripostiglio e un fornelletto da campeggio ma i servizi igienici non separati da dove vengono preparati i pasti” ha aggiunto Gionni. Sergio D’Elia, segretario di “Nessuno tocchi Caino” ha ricordato che “nelle celle dove c’erano Riina e Bagarella nella sezione 41 bis e ora ci sono altri detenuti. Ma nei lavori in corso non c’è idea di realizzare docce nelle celle. Di fatto, ci sono detenuti che si stanno facendo il 41 bis perché così quella sezione era stata concepita e così è rimasta. Lo Stato purtroppo ha abbandonato l’idea di un carcere che possa servire a redimere e riabilitare”. “Quello che ho osservato è allarmante” ha aggiunto l’avv. Felice Franchi, tesoriere della Camera Penale. “A Marino ci sono condizioni disastrose da un punto di vista igienico e sanitario. Detenuti che bivaccano, chi gioca a carte, nessuno impegnato in alcuna attività rieducativa. Abbiamo il dovere di far sapere quello che succede nelle carceri italiane, compreso Ascoli e ancora di più quello che succede nelle carceri minorili. Il legislatore - ha ricordato - interviene con palliativi e i magistrati non applicano le norme. Quando si parla di salute, quando un soggetto psichiatrico ha tentato più volte il suicidio va valutato se il carcere è compatibile: ma per avere una risposta passano 6 o 7 mesi e lui continua a cercare di togliersi la vita. Per la disperazione si soffocano al termosifone: pensate che volontà di morire c’è in queste persone”.

Pestaggio di Achille Mestichelli: “Gli agenti avvisati dai detenuti”

L’avvocato Franchi: “C’è una causa contro il ministero ma è difficile dimostrare le reponsabilità”. La delegazione di ‘Nessuno tocchi Caino’ e degli avvocati penalisti giovedì ha visitato anche la cella numero 7 del carcere di Marino dove il 13 febbraio 2015 fu pestato Achille Mestichelli, ascolano deceduto tre giorni dopo a seguito delle gravissime lesioni riportate in una lite avuta con un tunisino. Per la sua morte è stato condannato con sentenza definitiva a 10 anni Mohamed Ben Alì, tunisino di 30 anni colpevole di omicidio preterintenzionale. In primo grado fu condannato a 16 anni, pena poi ridotta a 10 dalla Corte d’Appello di Ancona che ha rimosso l’aggravante dei futili motivi; questo pronunciamento è stato confermato dalla Cassazione nel 2019. Della vicenda si sta ora occupando il tribunale civile di Ancona sollecitato dalla moglie e dal figlio di Mestichelli; assistiti dall’avvocato Felice Franchi hanno infatti citato il ministero della Giustizia, tre agenti in servizio quel giorno nel carcere di Marino e il direttore dell’epoca, chiedendo un risarcimento danni di un milione di euro. Obiettano, infatti, che la tragedia si sia consumata anche a causa di un mancato controllo degli agenti in servizio quel giorno nel carcere di Ascoli. “Durante quel pestaggio nessuno è intervenuto, nonostante ci sia una regola chiara in base alla quale gli agenti di polizia penitenziaria devono controllare le celle ogni 20 minuti. Sono stati i detenuti ad avvisare gli agenti” ha raccontato l’avvocato Franchi. “C’è una causa civile in corso contro il ministero, ma capite che è difficile dimostrare la responsabilità”.