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di Adelmo Manna*

Il Riformista, 29 giugno 2024

Di fronte a un reato, soprattutto se grave, si fa avanti il senso di vendetta della collettività che costituisce l’antitesi della Giustizia riparativa, ma che non è facile da esorcizzare. La giustizia riparativa costituisce il “fiore all’occhiello” della riforma Cartabia, tanto è vero che la stessa riforma, di cui al d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, è stata posticipata nella sua entrata in vigore al 30 dicembre dello stesso anno e, soprattutto, riguardo ai decreti attuativi attinenti alla giustizia riparativa, al 30 giugno 2023. Onde dimostrare i chiaroscuri della G.R., in un primo tempo gli aspetti operativi della stessa erano originariamente molto rigidi ma, per facilitarne l’avvio, in data 15 gennaio 2024 è stato pubblicato in G.U. il decreto del Ministro della Giustizia di modifica dei requisiti soggettivi per l’inserimento nell’elenco dei mediatori e delle cause di incompatibilità con l’esercizio dell’attività di mediatore esperto.

Più in particolare l’intervento legislativo è stato “timido” perché, a livello di diritto penale sostantivo, ci si è limitati alla estinzione del reato per condotte riparatorie, limitatamente ai reati perseguibili a querela di parte, ed inoltre sono stati modificati gli artt. 62 n. 6, 152, 131 bis e 168 bis c.p.. Ciò per quanto riguarda il diritto penale sostanziale mentre per ciò che attiene al diritto processuale penale la norma fondamentale risulta l’art. 129 bis c.p.p. che facoltizza l’autorità giudiziaria, in ogni stato e grado del procedimento, di disporre l’invio dell’imputato e della vittima al centro per la G.R.. Anche l’ordinamento penitenziario è stato modificato, con riguardo soprattutto all’art. 13, ove al 3° comma si offre l’opportunità all’interessato di una riflessione sul fatto criminoso commesso, sulle motivazioni e le conseguenze prodotte, in particolare per la vittima, nonché sulle possibili azioni di riparazione.

Sulla stessa falsariga si muovono anche i successivi artt. 13 bis e 15 bis. Stabilito ciò da un punto di vista esegetico, veniamo ora alle problematiche più squisitamente di politica criminale. Orbene, la differenza tra il concetto di pena subìta e quello di pena agìta, secondo la nota distinzione del Donini, ci sembra che fotografi esattamente la differenza fra la pena tradizionale, orientata ancora alla retribuzione, ed invece il modello, non solo italiano, della G.R. ove fra autore e vittima si dovrebbe instaurare un dialogo costruttivo sotto la guida del mediatore attraverso un percorso nell’ambito dell’ufficio di mediazione che consenta di riconoscere reciprocamente le proprie motivazioni sia all’autore che alla vittima del reato.

Non c’è dubbio che la radice della G.R. sia di carattere cattolico, tanto è vero che fu propugnata dal Centro di Studi giuridici Federico Stella dell’Università Cattolica di Milano e dalla Caritas. Tale ascendenza ideologica però, non comporta un rifiuto di tale prospettiva per il laico, in quanto anche per quest’ultimo un percorso di mediazione tra l’autore del reato e la vittima comporta un benefico effetto sia a livello sociale, che anche in chiave costituzionale nell’ottica di un rafforzamento dell’art. 27, 3° comma, Cost., sia sotto il profilo dell’”umanità della pena”, sia sotto quello della rieducazione- risocializzazione. Gli aspetti non favorevoli alla G.R. riguardano reati senza vittima, oppure di criminalità organizzata, oppure ancora gravi fatti di sangue come i femminicidi, ove purtroppo la vittima è stata fisicamente eliminata.

Tutto ciò, tuttavia, non basta per esprimere i dubbi sulla efficacia della G.R., perché, nell’ottica di Luhmann, dobbiamo tener conto che la società è divisa in tanti sottosistemi, per cui il reato costituisce un’indubbia frattura nell’ambito del sottosistema, che non è facile che venga ricomposta, proprio perché la reintegrazione del bene giuridico offeso o anche la G.R. possono non risultare sufficienti a ricucire la ferita che si è verificata nel sottosistema sociale di riferimento.

Con ciò vogliamo significare che abbiamo l’impressione, nonostante l’esistenza di importanti esperienze straniere, sia europee che americane, che ancora la collettività non sia pronta ad accettare in toto la G.R., proprio perché di fronte a un reato, soprattutto se particolarmente grave, si fa subito avanti il senso di vendetta da parte della collettività, che costituisce l’antitesi della G.R. ma che non è facile esorcizzare, proprio perché nell’inconscio collettivo della popolazione la retribuzione è ancora purtroppo emotivamente la funzione che si esige dalla pena detentiva.

*Professore emerito di diritto penale