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di Jéróme Hourdeaux*

Il Fatto Quotidiano, 12 febbraio 2024

La decisione. L’appello finale del fondatore di WikiLeaks secondo la legge inglese si terrà a fine mese. Per Alice Jill Edwards la sua salute mentale a rischio peggiorerebbe per la detenzione e l’isolamento in una prigione americana. In un comunicato del 6 febbraio, la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla tortura, Alice Jill Edwards, ha esortato il Regno Unito a fermare l’estradizione di Julian Assange negli Stati Uniti, dove il fondatore di WikiLeaks è atteso per essere processato per aver rivelato migliaia di documenti segreti dell’esercito Usa, in cui sono descritti gli abusi commessi dai soldati in Iraq e Afghanistan. “Julian Assange soffre di un disturbo depressivo ricorrente e di lunga data - ha scritto Alice Jill Edwards -. È valutato a rischio di suicidio. Negli Stati Uniti deve affrontare numerose accuse, anche ai sensi dell’Espionage Act del 1917, per la presunta pubblicazione illegale di documenti e cablogrammi diplomatici tramite WikiLeaks. Se fosse estradato, potrebbe essere detenuto in isolamento prolungato in attesa di processo. In caso di condanna, rischia una potenziale pena detentiva fino a 175 anni”.

“Il rischio che venga messo in isolamento, malgrado il suo precario stato di salute mentale, e che riceva una sentenza potenzialmente sproporzionata - ha continuato la relatrice Onu -, solleva dubbi sulla compatibilità dell’estradizione di Assange con gli obblighi del Regno Unito ai sensi del diritto internazionale”. Alice Jill Edwards si riferisce a tre articoli di tre trattati internazionali: l’articolo 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, secondo il quale “nessuno può essere sottoposto a tortura, a pena o a trattamenti crudeli, disumani o degradanti”, l’articolo 3 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, per cui “nessuno Stato parte espelle, respinge né estrada una persona verso un altro Stato qualora vi siano serie ragioni di credere che in tale Stato rischia di essere sottoposta a tortura”, e l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, secondo cui “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.

Da quando la polizia britannica lo ha arrestato, l’11 aprile 2019, nei locali dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra, Julian Assange è detenuto nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh, vicino a Londra. Tenuto in isolamento, è sottoposto a condizioni di detenzione ripetutamente denunciate dai suoi difensori. Già nel dicembre 2020, il precedente relatore speciale Onu sulla tortura, Nils Melzer, aveva paragonato le condizioni di detenzione di Assange alla “detenzione arbitraria, ma anche alla tortura e ad altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti”. Ma ora il tempo stringe. Il 20 e 21 febbraio, l’Alta corte di Londra deve infatti esaminare l’ultimo ricorso che resta all’attivista australiano, almeno secondo la legge britannica. Se fosse respinto, gli resterebbe una sola carta da giocare: la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu). La salute mentale di Julian Assange sarà probabilmente al centro dell’udienza, come lo è sempre stata durante tutta la procedura. Proprio i rischi per la salute di Assange avevano convinto in un primo tempo la giustizia britannica, in una sentenza di primo grado del 2021, a respingere la richiesta di estradizione emessa dagli Stati Uniti. Durante le udienze, che si sono tenute a febbraio e di nuovo a settembre e poi a ottobre 2020, i legali del fondatore di WikiLeaks hanno illustrato i pareri di diversi medici che sottolineavano lo stato di depressione cronica di Assange, dovuto all’isolamento quasi totale a cui è sottoposto nella prigione di Belmarsh. I medici avevano anche messo in evidenzia il rischio di possibili pensieri suicidi. Allo stesso tempo, diversi specialisti del sistema carcerario statunitense avevano descritto le condizioni di vita dei detenuti nel centro di detenzione di Alexandria, in Virginia, dove Julian Assange sarebbe quasi certamente rinchiuso, in attesa del processo, e nell’”ADX”, il carcere di massima sicurezza di Florence, in Colorado, dove sconterebbe la pena. In quanto condannato per reati di sicurezza nazionale, Assange sarebbe molto probabilmente soggetto a “misure amministrative speciali” (Sam), volte a impedire qualsiasi contatto con altri detenuti. Yancey Ellis, avvocato del foro di Alexandria, aveva a sua volta descritto la vita quotidiana in queste minuscole celle, con gli arredi ridotti al minimo indispensabile, una sola finestra di plexiglass, che non si può aprire, e una porta d’acciaio con un’apertura per permettere il passaggio del cibo e immediatamente richiusa in modo che i prigionieri non possano comunicare tra loro. Tutti questi argomenti hanno convinto il giudice Vanessa Baraitser a respingere la richiesta del tribunale Usa. “Le condizioni mentali di Julian Assange sono tali che sarebbe abusivo estradarlo negli Stati Uniti”, ha dichiarato la giudice nella sentenza di primo grado del 5 gennaio 2021. Il governo Usa, opposto alla decisione, ha dunque risposto presentando un nuovo ricorso e, nel febbraio 2021, ha inviato alla magistratura britannica una “nota diplomatica” in cui forniva una serie di “rassicurazioni”. La nota garantisce che Julian Assange, una volta estradato, non sarebbe rinchiuso in un carcere di massima sicurezza né messo in isolamento. La giustizia statunitense ha aperto anche la porta al possibile trasferimento di Assange in Australia, suo Paese d’origine, per scontare lì la sua pena una volta finito il processo. Infine, gli Stati Uniti garantiscono inoltre che Julian Assange riceverà “un trattamento clinico e psicologico adeguato” al suo stato di salute.

Nell’udienza d’appello del dicembre 2021, gli avvocati di Assange hanno contestato la validità di queste “rassicurazioni”, che le stesse autorità statunitensi si sono date la possibilità di revocare a seconda del comportamento dell’attivista durante la detenzione. Ma l’Alta corte di giustizia di Londra ha ritenuto valide le garanzie americane e annullato la sentenza di primo grado. Per Assange non è finita qui. Nel gennaio 2022, i suoi difensori sono riusciti ad ottenere la possibilità di presentare un nuovo ricorso davanti alla Corte suprema. Nel marzo 2022, la Corte ha rifiutato di esaminarlo e, un mese dopo, l’ordine di estradizione è stato trasmesso alla ministra dell’Interno, Priti Patel, che lo ha firmato il 17 giugno 2022. Ancora una volta, i legali di Assange hanno fatto ricorso, contro la firma dell’ordine di estradizione. E anche questo è stato respinto, il 6 giugno 2023.

Come ha detto all’epoca Reporter senza frontiere (Rsf), a partire da quel momento Julian Assange non è mai stato così “pericolosamente vicino all’estradizione”. Arriviamo dunque alla decisione dell’Alta corte di Londra attesa per il 20 e 21 febbraio. Questa udienza serve a stabilire se Assange ha diritto o no a fare appello alla decisione del 6 giugno 2023. Se il ricorso dovesse essere accettato, la data di una nuova udienza d’appello dovrà essere fissata. Nel caso invece in cui il ricorso venisse respinto, tutti i ricorsi interni possibili sarebbero stati esauriti e l’unica opzione possibile per Assange sarebbe di ricorrere alla Cedu, sulla base dell’articolo 39 del suo regolamento interno, secondo il quale la Corte Ue può emettere delle “misure provvisorie” urgenti in caso di rischio imminente di danni irreparabili, come minacce alla vita o maltrattamenti. Nel suo comunicato del 6 febbraio, anche la relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla tortura ha espresso dei dubbi sulle “rassicurazioni diplomatiche di un trattamento umano” fornite dalle autorità statunitensi, che secondo lei “non sono sufficienti a garantire la protezione di Assange da tali rischi”: “Non sono giuridicamente vincolanti - ha scritto Alice Jill Edwards -, hanno una portata limitata e la persona che intendono proteggere potrebbe non avere diritto ad alcun ricorso in caso di violazione”. Alice Jill Edwards ha quindi “chiesto al governo britannico di rivedere attentamente l’ordine di estradizione del signor Assange al fine di garantire il pieno rispetto del divieto assoluto e inderogabile di respingimento alla tortura e ad altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti, e a prendere tutte le misure necessarie per salvaguardare la salute fisica e mentale di Julien Assange”.

*Traduzione di Luana De Micco