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di Annalisa Costanzo

Il Dubbio, 6 settembre 2023

Vive con soli 324 euro al mese in un garage, senza acqua e luce. Lunedì scorso la protesta a Reggio Calabria: l’ex ristoratore si è arrampicato sulla gru nel cantiere del Palazzo di Giustizia.

Assolto perché il “fatto non sussiste”. Francesco Gregorio Quattrone ristoratore di Reggio Calabria non fa parte di alcuna associazione di stampo mafioso - lo ha sentenziato un tribunale -, eppure la confisca di tutti i suoi beni è diventata definitiva. “Mi hanno lasciato con 372 euro al mese in tasca - spiega il 66 enne - dicendo: “Da adesso vivrete con questi soldi”. E con quei soldi Quattrone, conosciuto dai suoi clienti e amici come Ioli, vive in una stanza senza acqua calda e senza luce.

È un uomo disperato. “Sono stato depredato dalla giustizia italiana di tutti i sacrifici fatti in 40 anni di lavoro, miei e della mia famiglia - racconta al Dubbio -. Chiedo al procuratore della Repubblica e a tutte le istituzioni di prendere provvedimenti verso questo sistema che punisce l’innocente”. Chiede giustizia e rimarca: “Il mio caso è paradossale, non mi fermerò mai fin quando la giustizia non opererà correttamente”.

È pronto a tutto e lunedì mattina, l’ormai ex ristoratore ha inscenato una forte protesta, arrampicandosi sulla gru nel cantiere del Palazzo di Giustizia, proprio davanti al Cedir, struttura dove hanno sede gli uffici della procura di Reggio Calabria. Con sé l’uomo ha portato tutta la sua disperazione, un cellulare e un manifesto: “Giustizia giusta la cerco e la voglio. Quando l’ingiustizia diventa legge, ribellarsi è un dovere al diritto”, ha scritto a caratteri cubitali col colore nero, il colore che simboleggia il dolore, il lutto. “Con la confisca viene sostanzialmente decretata la sua morte civile”, rimarca l’avvocato Baldassarre Lauria, che da alcune settimane è stato chiamato per affiancare l’avvocata Maria Domenica Vazzana. A Baldassarre è stato affidato il compito di portare il caso dell’imprenditore reggino - e quindi l’Italia - direttamente davanti alla Cedu.

Proprietario del locale “Arca di Joli”, Quattrone nel 1995 viene coinvolto nel procedimento “Olimpia” ma viene prosciolto. Nel 2010 finisce nell’inchiesta “Entourage”: per la Dda reggina è un presunto affiliato a una cosca di ‘ndrangheta della città in riva allo Stretto. “Vengo arrestato e dopo 15 giorni rilasciato per assenza di gravi indizi. Nel 2012 - grida Quattrone dalla gru dove lunedì ha passato gran parte della giornata - scatta il sequestro dei beni: ristorante, pizzerie, albergo, tutti i terreni, i conti. Nel 2020 si conclude il processo per associazione. Vengo assolto perché il fatto non sussiste, assoluzione richiesta dal pubblico ministero, inappellabile e io dico, ok, va bene, avete sbagliato fino adesso, ma ora restituitemi i beni. Nel 2015, però, in Cassazione la confisca diventa definitiva: sostanzialmente mi viene detto che tutti i beni sono ormai dello Stato italiano. Ma se io non sono un mafioso perché se li deve tenere lo Stato?”. È questa la domanda che Quattrone fa in continuazione.

Due settimane fa la corte di Appello di Catanzaro ha respinto l’istanza di revocazione della misura, non ritenendo nuovi elementi di prova sufficienti le agende ritrovare dalla difesa di Quattrone, nelle quali lo stesso, negli anni, ha scritto “gli appuntamenti di ricevimenti e feste che ho ospitato nel mio ristorante, lavorando 24 ore al giorno con mia moglie, i miei figli e i miei generi”. “Le misure di prevenzione hanno un doppio binario che consente alla prevenzione di giungere a un giudizio diverso rispetto a quello del processo penale”, spiega l’avvocato Lauria, che qualche tempo fa ha portato davanti alla Cedu il caso della famiglia “Cavallotti”, una storia simile a quella di Quattrone.

La Cedu ha dichiarato ricevibile il ricorso e allo stesso tempo ha posto al governo italiano una serie di questioni che toccano i punti nevralgici del sistema di prevenzione. Il governo guidato dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni dovrà fornire risposte entro il 13 novembre 2023. “L’Italia - ricorda il legale - è l’unico Paese occidentale che ha un sistema giuridico di questa natura ossia che consente la confisca senza la condanna. Negli altri Paesi non è possibile giungere a una confisca del patrimonio senza che vi sia un accertamento sulla responsabilità, quello italiano è un unicum in tutta Europa. Il signor Quattrone è una vittima di questo sistema: è un soggetto che non ha alcun precedente, nessun giudizio di colpevolezza a suo carico e tuttavia vive in un garage senza acqua e luce perché gli hanno confiscato tutto”.

Nei prossimi giorni i legali Lauria e Vazzana depositeranno alla corte di Appello di Reggio Calabria - l’autorità che ha formulato il giudizio di pericolosità sociale - una istanza di revoca per evidenziare una contraddizione giuridica con la sentenza di assoluzione. Dopodiché i difensori di Quattrone andranno direttamente alla Corte europea per un’azione di responsabilità nei confronti dello Stato italiano. Intanto Quattrone è rimasto solo, lo Stato ha i suoi beni e vive con soli 324 euro al mese di pensione di malattia. Ma con orgoglio sottolinea: “Vado a vendere fiori di zucca, qualche pezzo di pane, l’olio e quel che trovo, vivo così... in modo onesto e dignitoso”.