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di Massimiliano Peggio

La Stampa, 20 agosto 2023

Il commento delle Camere Penali all’assoluzione dei giudici che sentenziarono senza dare la parola ai legali. Chiesto l’invio di ispettori. La sentenza della Cassazione che ha annullato, con rinvio, la sanzione disciplinare inflitta dal Csm al presidente del Collegio astigiano che, nel dicembre del 2019, in un delicato processo per violenza sessuale a carico di due imputati, diede lettura della decisione prima di ascoltare l’arringa difensiva, suscita reazioni. Avvocati e politici. Il fatto fu eclatante. Il presidente di quel collegio, composto da tre magistrati, pronunciò la condanna prima di dare la parola al legale.

Il giudice, accortosi dell’errore, stracciò il foglio della sentenza. Da qui le proteste della Camera Penale che oggi torna sull’argomento con una lettera alla Stampa. Dalla vicenda nacquero due procedimenti: uno penale e l’altro disciplinare del Csm. Il primo è stato archiviato. Il secondo ha distinto le posizioni: nessuna responsabilità per i giudici a latere, condanna per il presidente, ora annullata dalle Sezioni Unite della Cassazione. “Questa decisione - dice Enrico Costa, deputato di Azione - ha certificato che infischiarsene delle argomentazioni della difesa, decidendo senza che neanche siano esposte, non è sanzionabile. Ed è ridicola la motivazione sullo stress addotto dal magistrato nella sua difesa. Cosa significa? Che se un giudice è stressato può fare ciò che vuole?”. E aggiunge: “Chiederò al ministro Nordio di inviare gli ispettori ad Asti per verificare su quante sentenze abbia influito lo stress”.

 

L’intervento

“Le Camere Penali stigmatizzarono fermamente l’increscioso accadimento e oggi, a distanza di anni, valgono le medesime riflessioni in allora proposte, potendole contestualizzare anche in riferimento ad alcuni più recenti interventi normativi. La lettura di una sentenza prima delle arringhe difensive significa che i tre Giudici si devono essere riuniti in camera di consiglio per assumere collegialmente la decisione senza che a nessuno dei medesimi sia venuto in mente di non aver ancora ascoltato le ragioni della difesa. È un fatto grave che sottintende la percezione dell’Avvocato come inutile orpello, in spregio del suo ruolo costituzionalmente previsto a garanzia del Giusto Processo e risponde ad un modello culturale che appare progressivamente trovare sempre maggior spazio e che è recisamente contrario, tra l’altro, al modello accusatorio che, come noto, si fonda sul contraddittorio tra le parti.

Il problema, infatti, non è soltanto leggere una sentenza senza aver ascoltato l’arringa finale di un difensore, aspetto di per sé di inaudita serietà sotto il profilo del rispetto dei ruoli, bensì decidere senza aver aggiunto al quadro di conoscenze anche le considerazioni che un Avvocato che ha seguito l’intero processo è in grado certamente di offrire.

Il processo penale, definito ottimisticamente come “accusatorio”, prevedeva nel 1989, ma ci piace pensare preveda ancora oggi, il contraddittorio tra le parti come il miglior metodo per arrivare alla migliore verità processuale. Il contraddittorio è destinato a trovare spazio essenzialmente in due momenti processuali cardine: la formazione della prova attraverso l’esame e il controesame dei testimoni e le conclusioni delle parti, vale a dire il momento nel quale Pubblico Ministero e Avvocato, su posizioni di parità, valorizzano gli elementi processuali ritenuti più rilevanti al fine di offrire al Giudice tasselli fondamentali per la decisione.

Il Giudice che non si accorge, prima di pronunciare la sentenza, che non è stata data parola a una delle parti, ossia che è mancato uno di questi tasselli, non può che essere un Giudice che reputa superfluo il contraddittorio.

Giova osservare che, nella deriva antiaccusatoria, il nostro legislatore sta progressivamente demolendo uno dei cardini del processo, vale a dire l’oralità, riducendo gli spazi nei quali le parti, possono offrire elementi di conoscenza al Giudice. Non sono solo gli Avvocati a lamentarsi di questo nuovo, pericoloso, modello culturale, ma anche i Cittadini, che vanno incontro a sentenze fondate su conoscenze sicuramente meno approfondite da parte del Giudice. Chi si confronta quotidianamente con la fallibilità del giudizio umano nelle aule di Giustizia non può che auspicare che il confronto mantenga il suo ruolo cardine nel processo, perché soltanto attraverso l’apporto prospettico di tutte le parti si limiteranno gli errori nelle decisioni.

Residua una ulteriore considerazione: la Magistratura italiana riporta un tasso di condanne in via disciplinare realmente minimo e poco comprensibile di fronte ad un sistema al collasso, per qualità e tempi delle risposte, all’interno del quale i Magistrati stessi giocano un ruolo decisivo.

Non è più sostenibile che nel nostro Sistema la Giurisdizione domestica, che sia il Csm o la Corte di Cassazione in ultima istanza, continui ad essere gestita con una inaccettabile generalizzata benevolenza tra pari.

L’auspicata riforma del Csm è ora una priorità, non solo per il suo corretto funzionamento in tutti i suoi aspetti, quali, tra l’altro, le nomine dei vertici degli Uffici Giudiziari, ma soprattutto per addivenire ad una giustizia disciplinare che realmente funzioni quale primaria garanzia di imparzialità del Giudice.

Roberto Capra, Presidente Camera Penale “Vittorio Chiusano”

Davide Gatti, Presidente Camera Penale Asti