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di Errico Novi

Il Dubbio, 24 maggio 2023

Il procuratore di Palmi sul libro di Barbano: così si fa il gioco dei boss. È ancora difficile parlarsi. È ancora quasi impossibile discutere con serenità di misure di prevenzione, delle storture incistate nel codice Antimafia. Della barbarie che si realizza talvolta in virtù di quelle norme. Lo dimostra il dibattito, peraltro di altissimo livello, organizzato nello scorso fine settimana a Capo d’Orlando da Camera penale e Ordine degli avvocati di Patti. Al centro della contesa, “L’inganno”, il libro di Alessandro Barbano, meritoriamente assurto a caso editoriale-giudiziario degli ultimi mesi, con la sua potente denuncia degli “abusi” commessi dai “professionisti del bene”.

La discussione è inserita nel più ampio programma della due giorni che l’avvocatura di Patti ha dedicato alle “Emergenze del sistema penale”. Vi partecipano una vittima degli abusi di cui parla Barbano, cioè Pietro Cavallotti, e un magistrato, il procuratore di Palmi Emanuele Crescenti. Cavallotti non può che rievocare l’assurdità, la barbarie appunto delle vicende che hanno polverizzato le imprese della sua famiglia: “Mio padre e i suoi fratelli hanno visto il loro procedimento di prevenzione concludersi con una confisca nonostante l’assoluzione definitiva, nel processo penale, dall’accusa di 416 bis. Noi figli abbiamo visto aprire a nostro carico un ulteriore processo penale, con parallelo procedimento di prevenzione, per “trasferimento di esperienza lavorativa” da parte dei nostri genitori, siamo stati assolti e almeno noi abbiamo ottenuto anche l’annullamento dei sequestri. Peccato che siamo passati dall’amministratore giudiziario al curatore fallimentare, visto che il primo ha potuto tralasciare, in virtù della legge, il pagamento di fornitori e tasse, anche se si è ben guardato dal congelare i propri compensi, in tutto 700mila euro. Una misura di prevenzione che toglie il patrimonio agli assolti non è giustizia: è barbarie. Dobbiamo combattere la mafia senza distruggere le persone che con la mafia non c’entrano niente”, ha concluso Cavallotti dopo la terrificante sintesi storiografica sulle ingiustizie avallate dal codice Antimafia. Di fronte a tanta forza narrativa, Crescenti, che pure ha riconosciuto ed enumerato storture e possibili rimedi della “prevenzione”, si è difeso in modo particolarmente “ruvido”. Primo: “Non leggo libri di chi ha subito processi”, avverte in riferimento a “L’inganno” che parla dello stesso Cavallotti e di altri casi analoghi, “così come non leggo un libro sulla malasanità scritto da chi è stato vittima di errore medico”. E già non è una mano tesa verso il dialogo. Poi: “Tra le Sezioni unite e lei, dottore Cavallotti, mi fido delle prime” , replica a proposito del passaggio in cui l’imprenditore aveva ricordato la controversa pronuncia sull’assenza di incompatibilità per il magistrato chiamato a giudicare i ricorsi avverso le misure di prevenzione da lui stesso emesse. E va bene. Ma poi Crescenti ha decisamente alzato il tiro quando ha aggiunto “guai a chiedere di eliminare le misure di prevenzione, perché così si fa il gioco della mafia” e soprattutto quando ha detto che è “mafiosità” indicare come “un problema dello Stato l’aggressione condotta attraverso le misure di prevenzione”.

Ora, è chiaro che la discussione si è surriscaldata. Accorato e impietoso, seppure impeccabile nelle argomentazioni, è stato pure il tono di Cavallotti. Eppure la mafiosità evocata dinanzi a chi è stato vittima innocente delle misure antimafia pare insostenibile. Lo ha fatto notare, a Crescenti, il presidente dell’Unione Camere penali Gian Domenico Caiazza, che non ha mancato di ricordare la “vergogna e la barbarie di amministratori giudiziari che non rispondono dei loro atti”. Il procuratore di Palmi l’ha a propria volta condivisa. Ma poi ha ribadito che è “mafioso prendere spunto da un caso per aggredire il sistema”.

Lo scarto fra l’enfasi con cui l’antimafia (non Crescenti al quale va riconosciuto di non aver negato la necessità di una “maggiore interdipendenza fra processo penale e misure di prevenzione”) ha sempre proclamato l’intangibilità di quel sistema, da una parte, e le ingiustizie che d’altra parte quel sistema può generare, ecco, quello scarto provoca uno stridore così acuto che parlarsi è impossibile. E perciò, siamo dinanzi all’ennesima dimostrazione di quanto sia urgente rendere più coerenti con lo Stato di diritto le misure antimafia. Ne guadagnerebbe lo stesso spirito costruttivo di un confronto come quello dello scorso fine settimana.