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di Piercamillo Davigo

Il Fatto Quotidiano, 23 novembre 2023

I legislatori inventano norme “manifesto” per tranquillizzare l’opinione pubblica senza cambiare nulla. Così un ladro che ruba auto, tra le aggravanti e le attenuanti, rischia dai 4 mesi e 2 giorni ai 30 anni. Di fronte ai delitti che turbano l’opinione pubblica per la loro gravità e il loro numero, vi è la tendenza ad aggravare i massimi delle pene. Bisognerà attendere le statistiche per verificare se quei delitti siano aumentati o se vi sia solo una maggiore attenzione dei mezzi di informazione: nel 1991 gli omicidi volontari in Italia furono 1.938; nel 2021 se ne contarono 303, con un tasso di 0,51 per 100.000 abitanti, tra i più bassi dell’Unione europea; nel 2022 salirono a 314. Ma i legislatori ricorrono a norme “manifesto” più indirizzate a tranquillizzare l’opinione pubblica che a ottenere seri effetti di deterrenza (che, peraltro, ha efficacia diversa a seconda degli autori dei reati e del tipo di reati e richiede approfondita riflessione).

La pena per l’omicidio stradale (reato colposo) può arrivare, per l’effetto di aggravanti, a 18 anni di reclusione, sfiorando la pena per l’omicidio volontario (da 21 a 24 anni, salvo aggravanti) e alterando le proporzioni fra varie figure di delitti. Peraltro, aumentare i massimi edittali delle pene serve a poco. La legislazione penale, con poche eccezioni, prevede infatti pene edittali elevatissime, a fronte di pene effettivamente inflitte e poi concretamente eseguite ben distanti dalle comminatorie legali contenute nelle norme incriminatrici.

Il Codice penale, promulgato con Regio decreto il 19 ottobre 1930, n. 1398, tuttora in vigore (seppure con notevoli modifiche) prevede pene edittali molto severe (nei massimi), ma che in concreto arrivano a livelli ben diversi. Anzitutto le fattispecie incriminatrici prevedono una forbice edittale in cui le pene vanno da un minimo a un massimo e, mentre i massimi sono molto elevati, i minimi sono di entità ridotta. In secondo luogo la legge penale prevede circostanze aggravanti (che determinano un aumento della pena) e circostanze attenuanti (che riducono la pena). Dopo il periodo fascista, ritenendo che in generale le pene fossero troppo severe, furono introdotte le circostanze attenuanti generiche, cioè qualunque altra circostanza (diversa da quelle tipizzate nella legge) che il giudice ritenga tale da giustificare una diminuzione della pena (art. 62 bis Codice penale, introdotto dall’art. 2 del decreto legislativo 14 settembre 1944, n. 288).

Le circostanze si distinguono fra quelle a effetto speciale (che indicano in modo autonomo l’aumento o la diminuzione della pena) e quelle a effetto normale (che determinano l’aumento o la diminuzione della pena fino a un terzo). Quando sono presenti circostanze aggravanti e attenuanti, il giudice deve procedere a un giudizio di comparazione: se prevalgono le aggravanti si applicano solo gli aumenti di pena, se prevalgono le attenuanti si applicano solo le diminuzioni di pena, se sono considerate equivalenti non si applicano né le une né le altre.

Nel testo originale del Codice non era possibile il giudizio di comparazione fra circostanze a effetto speciale e le altre, ma nel 1974 tale divieto fu soppresso (decreto legge 11 aprile 1974, n. 99, convertito con legge 7 giugno 1974 n. 220). Il riconoscimento delle attenuanti generiche e il giudizio di prevalenza o equivalenza fra circostanze aggravanti e attenuanti è largamente discrezionale. Come prevedibile, tale eccessiva discrezionalità viene per lo più utilizzata nel senso di attestare le pene verso i minimi edittali (anche in ragione dei diversi gradi di giudizio e del progressivo trascorrere del tempo - che da solo fa sembrare i fatti meno gravi - e della frequente assenza delle vittime nei giudizi di appello e di cassazione.

Vediamo gli effetti di tale modifica normativa. Il Codice penale prevede pene elevatissime per i furti aggravati. Ad esempio, per un furto d’auto ricorrono di norma due aggravanti a effetto speciale: quella dell’esposizione del bene alla pubblica fede (essendo di norma le auto posteggiate) e quella del mezzo violento o fraudolento (per aprire e avviare il veicolo). La pena prevista è da 3 a 10 anni di reclusione (oltre alla multa). Se l’autore del reato sottrae tre o più autovetture in esecuzione di un medesimo disegno criminoso la pena massima può arrivare a 30 anni di reclusione (oltre alla multa).

Chi legge il Codice penale potrebbe immaginarsi che nessuno sia così folle da rubare autoveicoli in Italia, ma soccorrono le attenuanti generiche. Se il giudice le riconosce con giudizio di prevalenza sulle aggravanti (ad esempio perché l’imputato è giovane, o socialmente emarginato o altre infinite ragioni), la pena minima (quella del furto semplice dal momento che si escludono le aggravanti) diventa di 4 mesi e 2 giorni di reclusione (artt. 624 e 81 Codice penale: mesi 6 di reclusione ridotti fino a un terzo per il primo furto, aumentato di un giorno per ciascuno degli altri due furti).

Al di là della stravaganza di prevedere una pena che va da 4 mesi e 2 giorni a 30 anni, scaricando sul giudice una discrezionalità smisurata, in altre situazioni si determinano effetti di eccessiva rigidità. Per esempio, la pena prevista per le lesioni personali gravissime è la reclusione da 6 a 12 anni (art. 583), ma se vengono riconosciute le attenuanti generiche almeno equivalenti all’aggravante, la pena va da 3 mesi a 3 anni (art. 582). Il giudice pertanto non potrà mai infliggere una pena compresa fra più di 3 anni e meno di 6 perché, se riconoscerà le attenuanti generiche prevalenti o equivalenti sulla aggravante, non potrà superare i 3 anni, se non le riconoscerà o le riterrà sub valenti rispetto alla circostanza aggravante non potrà scendere sotto i 6 anni. Ovviamente tutto ciò non si sarebbe verificato se un legislatore più avveduto avesse riscritto le pene nelle singole fattispecie incriminatrici.

Su questi meccanismi si innestano poi le riduzioni di pena previsti dal Codice di procedura penale se l’imputato richiede riti alternativi. Ad esempio, per il giudizio abbreviato è prevista la riduzione della pena di un terzo e il D. lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 prevede che la pena inflitta nel giudizio abbreviato sia ulteriormente ridotta di un sesto, in caso di mancata impugnazione della sentenza.

Per di più, ogni 6 mesi di detenzione con condotta regolare è prevista la liberazione anticipata di 45 giorni, quindi ogni anno di carcere inflitto equivale a 9 mesi. Poi ci sono le ulteriori forme alternative alla detenzione previste dalla riforma Cartabia con richiesta al giudice in sede di giudizio di cognizione: se la pena da scontare (anche come residuo di maggior pena) non supera i 4 anni è previsto l’affidamento al servizio sociale. Senza contare altri istituti quali la semilibertà, la liberazione condizionale e la detenzione domiciliare. Invece di emanare norme “manifesto”, sarebbe più serio ridare unità e logicità al sistema penale.