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di Giovanna Trinchella

Il Fatto Quotidiano, 26 novembre 2023

Pochi posti e 796 pazienti sono fuori. “E non si dà priorità ai casi più gravi”. C’è un paradosso eclatante nel meccanismo che regola l’ingresso nelle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems) delle persone affette da disturbi psichiatrici, che hanno compiuto un reato e che non sono imputabili. Nella maggior parte dei casi come spiega Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà, “si procede con liste di attesa che scorrono in base alla data di richiesta della misura sicurezza disposta dal giudice, non in base alla tipologia di necessità o alla gravità del reato”. E così al 31 ottobre scorso quelli che una volta era chiamati internati erano 654 (65 donne e 589 uomini); di questi 344 definitivi e 310 provvisori. In lista d’attesa invece 796 persone, di cui 492 provvisori e 304 definitivi.

In base a questo meccanismo può succedere che una persona che ha commesso un reato anche molto grave non trovi posto solo perché la disposizione del giudice è arrivata anche un giorno dopo rispetto a una misura decisa per una persona destinata alla struttura ma meno pericolosa. Ed è probabilmente a causa di questo irragionevole limbo che doveva essere in Rems l’uomo che in ottobre ha ucciso e fatto in pezzi la sua vicina di casa a Milano. Senza contare che sono 39 le persone che - al 31 ottobre - erano detenute illecitamente in carcere perché dovrebbero trovarsi una Rems. E proprio per un caso del genere l’Italia era stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2022.

“Le persone assegnate alle Rems sono il doppio di quelli che erano negli Opg” - “È la vittoria del metodo burocratico. Andare avanti così è più facile per tutti” spiega Palma che suggerisce di “stabilire degli indicatori che in qualche modo superino la cronologia. Indicatori che portino a dare prevalenza rispetto a ciò che si è commesso, dare un parametro di priorità ai definitivi rispetto ai provvisori”. Per il Garante, che ritiene il passaggio dagli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) alle Rems avvenuta nel 2015 “una riforma importante di civiltà”, c’è una riflessione da fare sui numeri delle persone internate o con aspettano di esserlo. “Se io unisco i numeri di definitivi e provvisori mi trovo con 1500 persone che rappresentano un numero doppio di quando sono stati chiusi gli Opg. Lo dico brutalmente, però una volta prima di mandarti all’ospedale psichiatrico il giudice ci pensava tre volte, la Rems sembra meno impattante e comunque tranquillizzante per il giudice che decide la misura di sicurezza. C’è una certa facilità nell’assegnazione alla Rems e questo è un primo problema. Le Rems non sono il sostituto dell’Opg: il sostituto è la presa in carica territoriale che può prevedere un periodo nella Rems, una valutazione e così via. Questo comporta un dispendio di risorse, ma se non si investe niente finisce così. I servizi territoriali avrebbero bisogno di molte più risorse e personale e strutture di diffusione che permettano la tranquillità della collettività e la presa in carico della persona che in fondo è un paziente e non è detenuto”.

Le strutture “critiche” - In Italia attualmente le Rems sono 32 e per chi le conosce come il Garante ci sono alcune criticità da valutare: “Quando ci fu il passaggio alle Rems, alcune strutture somigliavano troppo agli Opg. Ora ci sono molti esempi positivi e lo dico in premessa, ma cito anche due esempi particolari. Le Rems dovrebbero ospitare 30 persone, a Castiglione delle Stiviere sono 150: è l’unica maxi struttura ed è indicata centro pluri modulare di Rems provvisorie. Lei trova questo cartello all’ingresso. Al di là della bravura del personale, è un grande concentrato, un aggregato e non una piccola dimensione come sarebbe previsto. Un altro esempio molto diverso che mi lascia perplesso è Calice in Cornoviglio (La Spezia) che è una Rems che potremmo definire extraterritoriale”. Qui sono destinate tutte le persone che non possono assolutamente restare in carcere e quindi nella struttura, che dovrebbe essere territoriale, non ci sono liguri. “Mi domando se questo corrisponda a quel principio che l’ospedale si sostituisce con una presa in carico del paziente, ma come si fa se è fuori dal territorio? Poi vedendola l’ho trovata particolarmente chiusa: il passaggio da un posto all’altro avviene attraversando porte con codici di sicurezza, una situazione diversissima da altre Rems dove magari c’è anche personale della security. Inoltre lì vengono inviati i casi più complicati”.

“Una legge acerba” ma da difendere - C’è poi un’altra questione da valutare ovvero “la tendenza” a cercare di portare dentro le Rems quelli che hanno elaborato il disagio psichiatrici dopo aver commesso un reato ed erano quindi imputabili perché capaci di intendere e volere al momento del processo. “Queste persone non vanno portate nelle Rems, vanno pensate altre possibilità. Come chi sviluppa una patologia va portato fuori dal carcere, eventualmente con la sospensione della pena perché possa curarsi, così una persona che ha elaborato disagio psichiatrico va curata. A meno che non mettiamo in discussione l’imputabilità, le persone le giudico e poi le assegno a un percorso detentivo o terapeutico. Imputabile o non imputabile i due contenitori non vanno confusi, altrimenti facciamo il manicomio diffuso”.

Certo è che è fondamentale per migliorare una “legge acerba” è la collaborazione con i magistrati. I Tribunali, secondo Palma, potrebbero mettere a punto delle mappe sugli esiti delle assegnazioni: capire quante persone sono state prese in carico dai servizi territoriali, quanti hanno ricommesso reati sia di quelli sono stati ospitati nelle Rems che quelli che sono rimasti fuori. “L’unica cosa che aggiungo è che rispetto alle difficoltà di leggi che il nostro paese ha adottato in maniera coraggiosa, bisogna vincere la tendenza a dire siamo andati troppo in là e confidare in un principio giusto al quale dobbiamo dare le gambe per camminare veramente. Con coraggio e con investimenti”.

Antigone: “Non aumentare i posti in Rems, ma maggiore collaborazione” - “Noi auspichiamo un maggior dialogo, una maggiore collaborazione tra la magistratura e i servizi di salute mentale territoriale - dice Susanna Marietti (coordinatrice nazionale di Antigone) - perché quello che succede è che la misura di sicurezza psichiatrica detentiva viene data praticamente di default a tutti con qualsiasi perizia che porta al proscioglimento. Invece non bisogna arrivare per forza alle misure di sicurezza, quella dovrebbe essere l’extrema ratio, così come lo dovrebbe essere la detenzione per la pena”. Le alternative in effetti ci sono: “C’è la libertà vigilata con uno spettro di applicazioni: il magistrato potrebbe anche disporla nella misura in cui venisse applicata in una struttura residenziale e territoriale, però qui si spalanca un mondo perché noi sappiamo che l’Italia investe il 3% della spesa sanitaria sulla psichiatria e c’è un’insufficienza totale del territorio per rispondere a queste situazioni di presa in carico. È un serpente che si morde la coda. Il giudice neanche ci prova a dare una libertà vigilata, perché per dare la libertà vigilata e rimandare a casa crea problemi. Così si crea la lista di attesa”.

Ed è così che si arriva anche al paradosso di chi ha la misura di sicurezza detentiva, ma resta libero. “Se ci fosse una libertà vigilata non potrebbe esserlo. Tra libertà e essere ospiti in Rems c’è tutta una gamma di possibilità di controllo. Però appunto è un meccanismo oramai perverso, ma io non credo che il punto sia continuare ad aumentare i posti in Rems o snaturarle cominciando a mandare i sopravvenuti cioè coloro che sviluppano una patologia psichiatrica”. Il problema per Antigone sono le risorse e la collaborazione: “Apriamo tavoli di confronto con i magistrati, con i servizi psichiatrici e troviamo soluzioni individualizzate per ciascuno”.

Il presidente del Tribunale di Milano Roia: “Sì alla collaborazione, ma numero Rems inadeguato” - Fabio Roia, presidente facente funzione del Tribunale di Milano, accoglie con favore sia l’invito alla collaborazione che allo screening. In premessa però ricorda che il criterio di ingresso per data è “deciso dal Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria)”. “I fenomeni vanno monitorati ed è quindi una proposta intelligente lo screening, ma bisogna distinguere tra misure di sicurezza applicate provvisoriamente dal Tribunale e quelle in fase esecutiva Tribunale di sorveglianza. Ci dovrebbe essere una collaborazione sui dati statistici e informatici tra i presidenti dei tribunali ordinario e di Sorveglianza e il ministero della Giustizia. Bisognerebbe creare una sorta di banca dove si incrociano i dati e capire l’esito dei trattamenti - ragiona Roia - perché nella Rems ci vanno persone che hanno due requisiti: sono parzialmente o totalmente incapaci di intendere e volere e hanno un profilo di pericolosità sociale”.

Se il monitoraggio appare al magistrato “una prospettiva di lavoro interessante”, dall’altra parte bisogna anche fare i conti con la realtà. “Quello che viene riscontrato è la necessità di posti ricovero di queste persone che hanno bisogno della Rems e della dilatazione temporale fra il momento in cui viene disposta la misura di sicurezza, soprattutto in via provvisoria, rispetto all’esecuzione della stessa. Questa è una cosa su cui riflettere e che richiamerebbe di impatto un numero di strutture Rems non adeguato rispetto ai reali bisogno. Abbiamo misure di sicurezza non detentive perché normalmente quando non c’è una pericolosità sociale elevata il giudice applica la libertà vigilata che è una sorta di griglia di controllo che viene fatta per monitorare il comportamento del soggetto. Tra le prescrizioni che riguardano la libertà vigilata c’è quella del soggetto che viene agganciato dai servizi ed è ovviamente libero, ma c’è comunque un invio a una struttura per monitorare e curare la patologia psichiatrica”.

Esistono poi le persone che si ammalano in carcere sviluppando una patologia psichiatrica. “Una volta in fase di esecuzione della pena il presupposto cambia perché nell’applicazione provvisoria c’è un pericolo per la persona che viene riconosciuta parzialmente o totalmente ammalata di fare del male a sé stesso e agli altri. Quando siamo in fase di espiazione della pena, il problema è completamente diverso perché cambiano i presupposti: se sviluppa una malattia questa pena andrebbe espiata in luogo in alternativo al carcere o strutture detentive adeguate al trattamento della malattia che sono molte poche in Italia”.

Anche per Roia il passaggio dagli Opg alle Rems è stato positivo: “Anche io credo sia sul piano simbolico - ma la simbologia va unitamente allo sviluppo di una cultura e quindi non è soltanto un fatto formale - sia sul piano dell’effettivo trattamento è stato fatto un passo avanti. Anche se poi gli Opg erano molto migliorati nel tempo sia dal punto ricettivo che della cura, il passaggio Rems dà più l’idea della necessità di trattare una malattia in un soggetto che oltre ad aver commesso un reato è un soggetto portatore di una malattia psichiatrica: c’è una maggiore attenzione alla cura del soggetto piuttosto che contenimento. Un piano molto importante per l’attuazione dell’articolo 32 della Costituzione sulla tutela della salute di ogni persona, che è un bene primario nella scala gradiente dei valori costituzionali”.

Liste d’attesa nei centri Rems, lo psichiatra: “Stanno aumentando i pazienti difficili”

di Giovanna Trinchella

Il Fatto Quotidiano, 26 novembre 2023

Un aumento dei pazienti “difficili” da trattare, la diffusione delle droghe anche nei giovanissimi, molti traumi gravi, i tempi delle procedure per le dimissioni dei pazienti. Federico Boaron, direttore dell’Unità operativa di Psichiatria Forense dell’Usl di Bologna, ritiene che possano essere anche questi i motivi che portano a essere così lunghe le liste d’attesa per entrare in una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems). Una opinione che arriva dal campo per lo specialista che è stato fino a qualche mese fa direttore della Rems “Casa degli Svizzeri”, dove però gli ingressi sono valutati da un gruppo di professionisti mensilmente.

Lei è stato dirigente una Rems - una delle prime in Italia - per otto anni - dal 2015 a oggi qual è stata l’evoluzione di queste strutture?

Le Rems sono strutture eterogenee, perché sono state sviluppate senza esperienze equivalenti - né in Italia né all’estero - cui ispirarsi. Dal momento che dalla promulgazione della Legge 81/14 all’apertura delle prime residenze sono passati solo 10 mesi, le diverse regioni hanno sviluppato Rems strutturalmente e “filosoficamente” differenti fra loro. Non posso dunque generalizzare, la mia risposta è riferita solo alla Rems di Bologna. Quando il 1° aprile del 2015 è stata inaugurata quella di Bologna chiaramente abbiamo dovuto affrontare alcune difficoltà. Inizialmente abbiamo dovuto comprendere i vincoli imposti dalla normativa e come formalizzare correttamente le richieste alla magistratura. Inoltre eravamo ovviamente molto preoccupati, e ci interrogavamo se fosse possibile sviluppare in sicurezza percorsi di cura per pazienti autori di reati a volte molto gravi. La prima attività esterna (nel giugno 2015 un paziente è uscito per la prima volta dalla Rems per andare ad un evento culturale di suo interesse accompagnato da un operatore) ha richiesto oltre un mese di organizzazione fra mille incertezze e apprensioni. Nel corso dei mesi e degli anni successivi, facendo fruttare l’esperienza che si andava maturando, siamo riusciti ad attivare moltissime attività extramurarie anche grazie a strumenti come il budget di salute; attività riabilitative, ricreative, di formazione e lavoro (con numerosi contratti di tirocinio formativo).

Parliamo di numeri…

Per rendere l’idea dei numeri di cui stiamo parlando, con una capienza di 14 posti letto, nel 2015 (aprile-dicembre) le licenze esterne a fini trattamentali sono state 108, nel 2018 sono state 799. Nel corso del tempo è stato possibile implementare anche numerose attività interne, sia individualizzate (pet therapy, italiano per stranieri…) che di gruppo (musica, teatro, scacchi con maestro federale, ecc..). Ovviamente tutte queste attività andavano a sommarsi ai trattamenti psichiatrici e psicoterapici (questi ultimi individuali per alcuni pazienti e di gruppo per tutti). È importante sottolineare come non fossero assolutamente previste - fin dal principio - né la contenzione fisica, né l’isolamento, né la contenzione farmacologica.

Al 31 ottobre erano ospiti in Rems 654 persone e in lista d’attesa ce ne erano 796. Una cifra che, stando al Garante delle persone private della libertà, è il doppio di coloro che erano ricoverati negli ospedali psichiatrici giudiziaria (Opg). Perché secondo la sua esperienza? C’è una spiegazione?

Nel primo decennio di questo millennio il numero complessivo degli internati in Opg oscillava attorno a 1300-1400 presenze. I numeri si sono abbassati più o meno in corrispondenza della promulgazione della Legge 81/14. Quindi i numeri di cui si sta parlando oggi sono sostanzialmente in linea con lo storico. Una recente ricerca di Zuffranieri e Zanalda evidenzia come il numero delle nuove misure di sicurezza detentive abbia raggiunto un picco nel 2010 per poi decrescere gradualmente. Pertanto, controintuitivamente, l’aumento del numero dei pazienti in misura detentiva non sembra derivare da un aumento delle misure di sicurezza detentive annualmente disposte dalla magistratura. Dunque le problematiche relative alla lista di attesa sono da leggersi come un “accumularsi” di pazienti in misura detentiva o in attesa di essa. I motivi di questo non sono facili da individuare, ma posso probabilmente formulare alcune ipotesi.

Quali ipotesi?

Certamente stanno aumentando i pazienti “difficili” da trattare anche nei contesti giudiziari: con la sentenza “Raso” (Cassazione, SS.UU sentenza 9163/2005) i disturbi di personalità possono essere considerati una causa idonea ad escludere o diminuire notevolmente la capacità di intendere e di volere; l’ampia diffusione di sostanze come cocaina e cannabis ad altissimo tenore di THC anche nei giovanissimi; la presenza sempre più numerosa di persone che hanno alle proprie spalle gravissime esperienze traumatiche. Tutti questi fattori, spesso concomitanti nel medesimo paziente, determinano frequentemente quadri clinici caratterizzati da impulsività con gravi intemperanze comportamentali, che ovviamente ostacolano la dimissione. Inoltre la risposta alle terapie farmacologiche è a volte parziale o addirittura assente, ed anche sul piano psicoterapeutico e riabilitativo richiedono un lavoro più lungo e difficile. Non dimentichiamo poi che la presa in carico territoriale dei pazienti psichiatrico giudiziari richiede elevate risorse (e, almeno auspicabilmente, competenze specifiche) e che le dimissioni sono anche determinate anche dai tempi dei procedimenti giudiziari (non dimentichiamo che è il magistrato che, revocando la misura di sicurezza detentiva, dispone la “dimissione” dalla Rems). Probabilmente questi fattori contribuiscono a rallentare l’effettiva dimissione dei pazienti, determinando di conseguenza un “accumulo” di pazienti a monte, nelle liste di attesa.

Attualmente le persone vengono ospitate nelle Rems in base a un ordine cronologico, per cui può capitare che trovi posto chi ha una situazione meno grave o ha commesso un reato meno grave rispetto a chi è in lista d’attesa. C’è una riflessione da fare su questa procedura?

Nella Regione Emilia-Romagna le cose funzionano diversamente. Mensilmente si riunisce un gruppo regionale di professionisti della salute mentale esperti nei percorsi di cura dei pazienti forensi che pondera la lista di attesa secondo i parametri individuati dalla Conferenza Stato-Regioni. In particolare i criteri di inappropriata collocazione (ad esempio in attesa della Rems in carcere o in Servizio psichiatrico di diagnosi e cura - Spdc), caratteristiche del paziente (ad esempio un paziente a maggior rischio, a causa del disturbo psichiatrico, di commettere nuovi reati) e le realistiche possibilità di implementare soluzioni assistenziali alternative alla Rems hanno un peso rilevante nella gestione delle priorità fra i pazienti in lista di attesa.

Cosa si può fare per migliorare quella, che nelle sue imperfezioni, è considerata una legge di civiltà?

Sì può fare ancora molto. Anzitutto andrebbero chiariti a livello legislativo alcuni aspetti fondamentali: il più urgente è a quali misure siano sottoposte le persone in lista di attesa, dove debbano essere realisticamente collocate (ad esempio è evidente che non debbano essere collocate in Spdc, se non hanno clinicamente bisogno di cure urgenti in ambiente di ricovero). Un altro aspetto che meriterebbe una riflessione a livello legislativo riguarda le misure di sicurezza detentive “provvisorie”: se debbano o meno accedere alle Rems, o se al contrario sia utile collocarle in strutture dedicate (che oggi non esistono) o ancora nelle articolazioni per la tutela della salute mentale in carcere. Andrebbero implementati criteri univoci e condivisi a livello nazionale per la gestione delle priorità nelle liste di attesa.

Quali criteri?

Tutte le Rems dovrebbero avere una adeguata dotazione di personale, paragonabile a quella dei medium secure mental health services britannici, che hanno equipe di almeno due operatori per ogni paziente (quindi una equipe di almeno 30 operatori per una Rems da 15 posti letto). Dal momento che una piccola percentuale di pazienti (probabilmente attorno al 5-10%) ha alterazioni del comportamento difficilmente gestibili nelle attuali Rems (con rischi per il personale e per gli altri degenti) sarebbe utile a livello nazionale avere un numero esiguo di strutture con un livello di sicurezza più elevato. I percorsi di cura dei pazienti in dimissione - quasi sempre alla dimissione viene applicata la misura di sicurezza della libertà vigilata - dovrebbero avere dei fondi dedicati per almeno due anni, in modo da non gravare sui bilanci dei dipartimenti di salute mentale. Le Ausl dovrebbero implementare unità operative di psichiatria forense, per supportare i centri di salute mentale nello sviluppo dei percorsi di cura dei pazienti autori di reato. Dovrebbero essere messe a disposizione risorse e formazione per trattamenti specifici; ad esempio gruppi per la gestione dei comportamenti impulsivi o dell’aggressività; psicoterapeuti con formazione specifica sul trauma e sui disturbi di personalità; progetti etno-psichiatrici dedicati ai migranti. Progetti per l’identificazione precoce e la presa in carico di adolescenti con comportamenti a rischio (intervento di prevenzione). Rivedere e rendere omogenei a livello nazionale i criteri con cui i periti valutano capacità di intendere e volere e pericolosità sociale. Non affronto qui il tema delle politiche di prevenzione dell’uso di sostanze stupefacenti, tema molto complesso e di grandissima rilevanza anche all’interno delle Rems.

Mi racconta come e quanto può aver aiutato un paziente la permanenza in Rems?

La permanenza in Rems costituisce spesso la prima occasione in cui il paziente assume una terapia regolarmente, accede ad interventi psicoterapeutici e riabilitativi e non ha occasione di assumere sostanze d’abuso. Fra l’altro i tempi di permanenza - non certo brevi come quelli degli Spdc - permettono l’ottimizzazione delle terapie farmacologiche in modo da massimizzarne l’efficacia e ridurre al minimo gli effetti collaterali. Questi fattori convergenti possono determinare un netto miglioramento clinico, che favorisce la consapevolezza di malattia e del bisogno di cure: un circolo virtuoso. Se aggiungiamo a questo la possibilità di reintegrarsi nel modo del lavoro tramite strumenti dedicati (Individual Placement and Support, tirocini formativi, ecc…) possiamo ottenere in un numero significativo di casi risultati davvero straordinari.

Come è stata nella sua esperienza la collaborazione con magistrati?

C’è stata da subito una buona intesa, ulteriormente migliorata negli anni grazie all’aumentare della comprensione dei reciproci punti di vista. Stiamo inoltre sviluppando un protocollo di collaborazione fra magistratura, periti e Dipartimento di salute mentale.