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di Chiara Bidoli

Corriere della Sera, 7 luglio 2023

Sono 7 milioni i bambini che nel mondo vivono dentro istituti di accoglienza e più di 20mila sono a rischio di abusi fisici ed emotivi. Sono i dati emersi dalla Conferenza Internazionale “Gli interventi a sostegno della genitorialità basati sull’attaccamento” che si è tenuta all’Università di Pavia.

Si stima che i bambini ospitati in case famiglia e istituti di accoglienza siano 7 milioni nel mondo. I dati, in crescita anche a causa delle guerre, riportati nella Conferenza internazionale su “Gli interventi a sostegno della genitorialità basati sull’attaccamento” che si è tenuta nei giorni scorsi all’Università di Pavia, coordinata da Lavinia Barone (professore ordinario, psicologa psicoterapeuta del Dipartimento di Scienze del Sistema Nervoso e del Comportamento dell’Università di Pavia) e Marlene Moretti (professore orinario e Direttrice del Laboratorio adolescenza della Simon Fraser University di Vancouver) ha posto l’attenzione sugli effetti dell’istituzionalizzazione e poi dell’affido e dell’adozione sullo sviluppo psicologico dei bambini.

Lo studio - Secondo un importante studio condotto nel 2020 su più di 100.000 bambini provenienti da oltre 60 Paesi, i ritardi evolutivi dei bimbi ospitati negli istituti riguardano lo sviluppo della circonferenza cranica, il peso, l’altezza, ma anche lo sviluppo intellettivo e socio-emotivo. Questi bambini se non sono seguiti da un caregiver dedicato, nel tempo possono avere un danno socio-emotivo permanente che solo la struttura di una famiglia che li accoglie può attenuare in modo significativo. “Ci siamo concentrati sugli interventi a sostegno dei genitori. È scientificamente provato che lavorando sui caregiver primari si riescono a ridurre i rischi legati allo sviluppo dei bambini, spiega Lavinia Barone Responsabile del Laboratorio per l’Attaccamento e il sostegno della Genitorialità - LAG dell’Università di Pavia. Si tratta di interventi certificati sulle evidenze, con risultati convergenti da lavori decennali provenienti da laboratori di ricerca di tutto il mondo e che riguardano un’ampia serie di indicatori dello sviluppo dei bambini e degli adolescenti. È emerso che la struttura della famiglia, indipendentemente dal fatto che sia biologica, adottiva, affidataria, è in assoluto quella che può recuperare meglio e più velocemente i danni, i ritardi e disagi socio-emotivi dei bambini. Al contrario, orfanatrofi e istituti di accoglienza sono luoghi dove aumentano le problematicità dei minori. Le ultime evidenze scientifiche ci dicono che è il caregiver che si occupa del minore che fa la differenza nell’aiutarlo, ma dev’essere supportato per rendere al meglio nelle proprie capacità. Il legame biologico, invece, è risultato relativamente importante”.

Gli interventi - Sono certificati sulla efficacia non prevedono sempre il coinvolgimento diretto di bambini o adolescenti, ma lavorano sui genitori (o caregiver) per migliorare la relazione con i minori che poi va a incidere positivamente, e per lungo tempo, sugli stati d’animo e sui comportamenti di bambini e ragazzi. “Si raggiungono i minori tramite i genitori. Nel caso dei bambini più piccoli, fino alla scuola primaria, si tratta di interventi domiciliari. In pratica si va nelle case e si registrano dei video con interazioni di vita quotidiana dove avvengono scambi di relazione e gioco, piuttosto che momenti in cui il genitore dà regole, disciplina e cerca di guidare il bambino su cosa si può o non si può fare. Supportati da uno specialista, tramite il videofeedback, i genitori vedono e capiscono quali comportamenti sono più sensibili e efficaci e quali invece correggere. Per quanto riguarda invece i genitori degli adolescenti gli interventi sono di gruppo e si fa un lavoro esperienziale attraverso, per esempio, giochi di ruolo dove si mettono alla prova in alcune situazioni tipiche. Il vantaggio è che, in entrambi i casi, si tratta di interventi brevi, che durano dai 2 ai 3 mesi massimo e la cosa interessante è che questi risultati non si esauriscono una volta terminato l’intervento ma si mantengono nel tempo, e possiamo perciò considerarle terapie con un ottimo rapporto costi/benefici”, spiega Barone.

L’importanza dell’attaccamento - In America e in Canada questi interventi sono praticati anche come prevenzione sociale, per tenere i ragazzi lontani da “compagnie pericolose”. Nei Paesi in via di sviluppo, tra cui Kenya, Sudafrica, Messico e India si stanno diffondendo grazie al lavoro di molti professionisti che si sono formati con training specialistici e certificati. “Di fatto sono interventi che aiutano l’attaccamento, che è la base del legame affettivo e sociale che si impara all’interno della famiglia. Se la famiglia riesce a rimanere un riferimento affettivo capace di ascolto, guida e protezione, anche nei momenti di crisi o quando i ragazzi crescono e cercano la loro indipendenza come in adolescenza, questo fa la differenza. Per i bambini adottati che hanno conosciuto percorsi di vita con separazioni e perdite, o addirittura traumi, il coinvolgimento dei genitori adottivi attraverso questi interventi è una “terapia naturale di recupero” con risultati positivi e di grande aiuto per tutti”, conclude Barone.