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di Isabella Maselli

Gazzetta del Mezzogiorno, 22 agosto 2023

È in Italia dal 1997, ha moglie e 3 figli piccoli. Durante la pandemia ha perso lavoro e permesso di soggiorno. È in sciopero della fame da alcuni giorni perché chiede una assistenza sanitaria che il Centro per rimpatri di Palese dove è detenuto non riuscirebbe a garantirgli. A raccontare le condizioni in cui è costretto a vivere da tre mesi è lui stesso, 43enne albanese che vive in Italia da 25 anni e che nel 2020 ha ricevuto un decreto di espulsione perché in piena pandemia gli era scaduto il permesso di soggiorno.

“Se devono rimandarmi in Albania, lo facciano - dice - oppure mi permettano di tornare a casa dai miei figli e da mia moglie. Ma qui non posso più continuare a vivere. Le condizioni in cui siamo, io e le altre decine di irregolari, sono disumane. L’unica cosa che vorrei è fare una doccia ed essere curato”.

È il suo legale, l’avvocato Uljana Gazidede, a riferire la storia di S.B. in una lettera aperta inviata al Garante dei diritti dei detenuti e delle persone private della libertà personale, al prefetto e al questore di Bari, precisando che l’uomo è “in attesa che si concluda il procedimento civile per il riconoscimento della protezione internazionale”. “Da due giorni - spiega l’avvocato - ha iniziato lo sciopero della fame poiché il centro non è in grado di far fronte all’assistenza medica di cui necessita, per un infortunio occorso l’11 agosto, quale conseguenza dell’esasperazione per le condizioni inumane a cui nei mesi precedenti era stato sottoposto”.

Esasperato dalla situazione, il 43enne un giorno avrebbe sferrato un violento calcio ad una porta in ferro fratturandosi un piede. Da allora ha un gesso che dovrà tenere ancora due settimane. Nella struttura per i rimpatri, però, “trova difficoltà a svolgere le normali attività di vita quotidiana - spiega la legale - autonomia igienico-sanitaria anche dal punto di vista dell’utilizzo della toilette in quanto il centro è dotato di soli bagni alla turca, per cui necessita di ausili come stampelle o sedia a rotelle che non possono accedere all’interno dei moduli abitativi secondo la normativa vigente, senza i quali lo stesso trova difficoltà a deambulare in autonomia”.

Quando alcuni giorni fa il Tribunale ha deciso di prolungare il trattenimento dell’uomo nel centro, il 43enne “ha iniziato lo sciopero della fame” fa sapere l’avvocato, chiedendo al Garante un “intervento al fine di far cessare tale situazione che lede i diritti umani del sig. S., al quale può solo essergli limitata la libertà di movimento e circolazione, null’altro. Tale situazione - conclude il difensore - lede la dignità della persona e si risolve in atteggiamenti inumani e degradanti”.

Anni fa la situazione del centro di Palese era stata oggetto anche di un procedimento dinanzi al Tribunale il quale aveva riconosciuto proprio le “condizioni inumane e degradanti” della struttura “di certo non idoneo all’assistenza dello straniero e alla piena tutela della sua dignità in quanto essere umano”.

Oggi tornano a denunciarlo i migranti trattenuti al suo interno. “Vivo in Italia dal 1997, qui ho moglie e tre figli piccoli di 2, 5 e 7 anni. Ho sempre lavorato, - racconta il 43enne - in ristoranti, piccole ditte, in campagna, come boscaiolo e con qualche lavoretto edile. Poi quando è scoppiata la pandemia ho smesso di lavorare e nel frattempo mi è scaduto il permesso di soggiorno. Alcuni mesi fa, a tre anni dal decreto di espulsione, sono stato portato prima nel Cpr di Potenza e adesso mi trovo a Bari. Sono sempre sporco, chiediamo anche solo un po’ di candeggina per poter pulire direttamente noi. Poi da quando non riesco a camminare per me è tutto più difficile. Ma sono tanti quelli che stanno male e ognuno reagisce a suo modo. C’è chi si ferisce, chi tenta gesti estremi, chi protesta dando fuoco ai moduli”.