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di Anna Maria Ajello*

Corriere della Sera, 2 novembre 2023

La ex presidente dell’Invalsi Anna Maria Ajello a proposito del saggio “Non sparate sulla scuola”: “Sbagliato attribuire il blocco dell’ascensore sociale al malfunzionamento della scuola. Superficiale rimpiangere la scuola del passato”. Capita di rado di leggere un testo, che non sia un romanzo, e proseguire sino alla fine come se lo fosse: è quello che succede con il bel libro di Gianna Fregonara e Orsola Riva “Non sparate sulla scuola” (Milano, Solferino, 2023).

Il testo, articolato in 10 capitoli, tocca i temi più rilevanti che riguardano il mondo della scuola, dalle bocciature, ai voti e ai compiti a casa, alla dispersione, esplicita e implicita, ai rapporti scuola-famiglia, alla “fragilità” degli studenti attuali, agli insegnanti e alla loro formazione, agli strumenti digitali e al loro uso nella didattica, anche in seguito alla pandemia, alle innovazioni educative realizzate dalle scuole, alle diverse e periodiche riforme introdotte ogni volta che si insedia un nuovo governo. Rispetto a ciascun tema, è presentata la ricostruzione delle proposte avanzate per farvi fronte, con riferimento alle leggi, alle linee guida ministeriali, quando ci sono, e indicando i tentativi riformistici naufragati, con le ragioni che hanno causato i naufragi.

Accanto a questa prospettiva centrata sulle questioni interne, per così dire, del “palazzo”, sono richiamate sia le vicende della scuola reale che a quel tema si possono riferire, sia ricerche e studi internazionali, non solo delle istituzioni più note - Ocse, Unesco, Oms- ma anche quelle realizzate da ricercatori del nostro o di altri Paesi e indagini sociologiche riferite a studenti e/o a docenti; inoltre, nei casi in cui una innovazione viene proposta nel dibattito italiano come potenzialmente risolutiva, almeno in parte, si riferisce l’esito nei Paesi che l’hanno adottata: è il caso per esempio delle zone di educazione prioritaria in Francia.

Altra caratteristica del testo è quella di sfatare miti; quella dei miti, una sorta di leggenda metropolitana che aleggia sulla scuola, è evidentemente una caratteristica del dibattito italiano tanto che anche Andreas Schleicher (2020) nel suo Una scuola di prima classe (Bologna, Il Mulino) ne riporta alcuni, diversi da quelli richiamati dalle due autrici; così, ad esempio, si indica il numero complessivo dei giorni trascorsi a scuola in Italia (200) e in Paesi come Finlandia (186) e Francia (162), sfatando l’idea che da noi si stia per meno tempo a scuola.

Proprio a partire da idee diffuse e quindi agganciando più immediatamente l’interesse del lettore, le autrici puntualizzano alcune questioni più generali, come ad esempio il blocco dell’ascensore sociale la cui responsabilità viene attribuita spesso al malfunzionamento della scuola. “La scuola- scrivono Fregonara e Riva (p.19) - riusciva ad essere un trampolino di classe quando anche il Paese era in crescita. Pensare che oggi possa farcela da sola a estrarre talenti e passioni dai giovani, soprattutto da quelli meno fortunati, senza introdurre anche altre forme di welfare, equivale a raccontarsi una favola. Di solito le scuole funzionano male dove tutto il resto funziona male, a partire dalle istituzioni. Al contrario sono fucine di innovazione dove società e istituzioni funzionano bene”. Ho riportato questo periodo perché, pur sottolineando aspetti che incidentalmente capita di osservare, centra in modo inequivocabile la questione di come inquadrare i problemi delle scuole poste in contesti economicamente svantaggiati in cui è molto difficile anche la vita quotidiana delle persone. In questa prospettiva è implicitamente sottolineata la superficialità di quanti rimpiangendo la scuola di un tempo, attribuiscono alla scarsa severità, all’abbassamento della soglia di aspettativa dei docenti le ragioni della minore efficacia della scuola che, come si vede, va invece connessa a questioni ben più complesse.

Un altro elemento particolarmente interessante è quello riferito agli studenti perché si indica il loro attaccamento alla scuola, proprio quando richiedono che sia diversa, come nel caso della lettera degli studenti del Liceo Berchet di Milano, dopo che 56 studenti si erano ritirati dalla scuola per stress; chiedevano che la scuola fosse “un luogo e un tempo di cura” dove non si vuole “studiare meno, ma studiare meglio in un ambiente sereno e fertile” (Fregonara e Riva, p.74). Citando ricerche dell’Organizzazione mondiale della sanità, le autrici sottolineano il senso di malessere diffuso e il contrasto con quella immagine di spensieratezza irresponsabile dedita al divertimento che circola diffusamente; durante la pandemia, ad esempio, i giovani si sono recati responsabilmente a vaccinarsi, senza opposizioni. Anche qui, citando lo psicologo Matteo Lancini intervistato dal Corriere della Sera (p.81), Fregonara e Riva mettono in luce la difficoltà degli adolescenti a manifestare il loro dolore “perché non vogliono farci sentire in colpa o deluderci. In un certo senso sono loro che si fanno carico di noi adulti, delle nostre fragilità, non il contrario”. Questa riflessione, proveniente dalla consolidata esperienza clinica di Lancini, risulta complementare alle osservazioni di una docente, Anna Rosa Besana di un istituto di scuola secondaria di secondo grado, Greppi di Monticello in Brianza, per cui “alcuni genitori piuttosto che accettare che il figlio non sia all’altezza delle loro aspettative irrealistiche, arrivano a farsi fare una diagnosi che certifichi un qualche disturbo specifico di apprendimento, anche quando non c’è” (p.82).

Ancora una volta con riferimento a fonti diverse - esperti e persone impegnate a scuola - si delinea con tratti molto incisivi un quadro che rende ragione di una maggiore complessità della condizione giovanile, ben diversa da quell’immagine che confina gli studenti in un tutto indistinto e infantilizzato. Il riconoscimento dei problemi connessi alla pandemia ha indotto il Ministero dell’Istruzione e del Merito a siglare un protocollo di intesa con l’Ordine degli Psicologi in base al quale il servizio aveva raggiunto il 70 per cento delle scuole (5.500 su 8000), ma nella legge di Bilancio per il 2023 non è stato più rifinanziato. In tal modo le scuole frequentate da studenti provenienti da famiglie più abbienti continueranno ad usufruire del servizio mediante il contributo delle famiglie per supplire a quella carenza, mentre ciò non avverrà nei contesti più difficili ed economicamente svantaggiati; così facendo inoltre, si introduce un’ulteriore ragione di diseguaglianza nel nostro sistema formativo. C’è da evidenziare come questa misura indichi la mancanza di una prospettiva generale, sia nel riconoscere la persistenza degli aspetti psicologici, che non si possono trattare come una influenza stagionale, sia nel frustrare le esigenze dei giovani che ancora una volta hanno avuto aspettative positive (altrimenti non avrebbero fatto ricorso allo psicologo) nei confronti degli adulti.

Ci sarebbero molti altri temi che il libro tratta con efficacia; la ragione di tale efficacia va in primo luogo ricondotta non solo allo stile agile e incisivo che caratterizza il testo ma anche alla solidità delle argomentazioni che in modo leggero vengono richiamate di volta in volta superando il frequente costume di chiacchiere da bar dello sport che connota ancora molti discorsi sulla scuola.

*Professore ordinario di Psicologia dello Sviluppo e dell’Educazione, Presidente dell’Invalsi dal 2014 al 2021