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di Massimo Sideri

Corriere della Sera, 7 gennaio 2024

Il nuovo presidente della Commissione dopo la rinuncia di Giuliano Amato. “Sono un ragazzo degli anni Settanta e in quegli anni, oltre ai giochi come Dungeons & Dragons, i walkie-talkie e le biciclette Bmx c’erano i computer, le consolle, il Commodore 64. E capire questa grande novità è stata una molla troppo forte per la mia curiosità. Oggi, questo processo di smontare e rimontare le cose per capirle potremmo chiamarlo hacking, ma io preferisco continuare a chiamare in causa la curiosità”.

È nata così la passione che ha portato padre Paolo Benanti - teologo del Terzo ordine di San Francesco, professore alla Pontificia Università Gregoriana, consigliere di papa Francesco sui temi dell’intelligenza artificiale e membro del Comitato sull’Ai dell’Onu - a diventare il nuovo presidente della Commissione governativa sull’Ai per l’informazione dopo la rinuncia di Amato. Un tema sul quale aggiunge subito: “La Commissione si è già riunita e ha iniziato i lavori con Amato. Per quanto mi riguarda si tratta di coordinare la squadra in un lavoro collettivo, non individuale. Mi piace considerarmi il tredicesimo giocatore in panchina chiamato perché gli altri si sono fatti male”.

Professor Benanti, l’intelligenza artificiale oggi è chiamata in causa su tanti benefici possibili e rischi potenziali, legati al lavoro, alla cultura, all’impatto sulla società, ma la Commissione da lei presieduta si sta occupando nello specifico dell’informazione e del rischio concreto che questo potente strumento potrebbe avere sul fronte della disinformazione, delle fake news e della manipolazione dell’opinione pubblica e degli elettori. Tra tutti non è questo il nervo scoperto dell’etica dell’Ai che racchiude tutti gli altri?

“È vero che il legame tra Ai e informazione è cruciale. Ci sono tre temi su cui stiamo lavorando: il primo è soprattutto la valorizzazione della professione dei giornalisti che sono figure di garanzia nel processo democratico. Mi è sempre piaciuto il motto del Washington Post: “La democrazia muore nelle tenebre”. Nel giornalismo c’è una forte missione sociale che l’automazione dell’informazione porterebbe all’estinzione. Il secondo tema è la sostenibilità della professione: chiaramente l’automazione ha un impatto sull’industria dell’editoria minandola dal punto di vista economico. Ecco un altro effetto che può rendere problematico il prosieguo di questo importante ruolo del giornalismo. Il terzo tema è la comparsa dei nuovi grandi player che in alcuni casi sono di fatto editori ma che in questo momento non ne hanno la responsabilità. Ne aggiungerei un quarto: la facilità con cui oggi chiunque può produrre con queste tecnologie disinformazione o notizie false in momenti in cui già viviamo una forte polarizzazione”.

Il nodo gordiano della (de)responsabilità editoriale delle piattaforme su Internet viene da lontano: venne introdotta da Clinton e Al Gore nel 1996 con la Sezione 230 per, come si disse allora, non “uccidere” il bambino web in culla. L’Ai non rischia di godere della stessa deresponsabilizzazione?

“Le faccio un discorso più ampio perché questo è il tema di grande dibattito non solo in Italia, ma a livello mondiale. Ne parliamo anche in sede Onu. Quella deregolamentazione originaria ha consentito la crescita di un enorme mercato, però non ha creato solo più ricchezza: ha ucciso altre ricchezze. Pensiamo a Uber nei confronti dei trasporti”.

Causando anche concentrazioni di ricchezza...

“Non solo: ha dato alle piattaforme il potere di vita o di morte sulle industrie. Dobbiamo ricordare che non stiamo più parlando di quel bambino in culla di Clinton, ma di piattaforme più grandi di interi Stati. Questo crea enormi tensioni perché le democrazie, per quanto fragili, restano la migliore soluzione”.

Su questo tema, anche in sede Onu, immagino che si contrappongano grandi interessi economici...

“All’Onu le posso dire che ci diciamo le cose in faccia. Piuttosto dovremmo chiederci se l’Onu, con le sue debolezze, sia il posto in grado di risolvere queste tensioni”.

Il tema esiste anche a livelli più locali: come convincere le imprese a non cadere nella tentazione di usare l’Ai per tagliare i costi piuttosto che per il progresso?

“È un problema di design della società: il tema è se vogliamo mettere in atto un design competitivo o di collaborazione rispetto all’umano. La diagnostica medica è un esempio di come possiamo usare il medico e l’Ai per migliorare la tutela della salute. Ci sono tanti argomenti a favore, ne presento uno: un’impresa ha una caratteristica che non è solo produttiva, ma è fatta anche dal know-how umano che le permette di difendere la propria eccellenza. Si può creare una situazione win-win sia per l’imprenditore che per i lavoratori”.