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di Pino Corrias

Vanity Fair, 7 febbraio 2024

Per fortuna ancora ci indigniamo davanti alle catene ai polsi e alle caviglie di Ilaria Salis, 39 anni, detenuta italiana trascinata al guinzaglio nell’aula del Tribunale di Budapest, Ungheria, Europa. Ci mancherebbe. Pretendiamo il diritto alla dignità della persona. Pretendiamo la giustizia umana e umanitaria. Ci scandalizza il sopruso, ci indigna la pubblica gogna. Specie quando riguarda una nostra concittadina all’estero, detenuta per una blanda accusa di lesioni, ma trattata da terrorista, sulla quale sventola il tricolore della consanguineità.

Ci turbiamo un po’ meno quando siamo noi a infliggere ai nostri carcerati - peggio per loro se stranieri - la stessa danza macabra di soprusi. I ceppi ai polsi e il guinzaglio ai detenuti in transito nei corridoi dei nostri tribunali sono stati aboliti non un secolo fa, ma appena ieri, nel 1992, anno di Tangentopoli, quando l’umiliazione cascò sulle spalle dei politici chiamati a giudizio per corruzione, mentre le implacabili telecamere registravano l’evento come fosse la cosa più normale del mondo. Lo scandalo mosse le acque della politica. La politica, quelle del legislatore. Benissimo.

Peccato che ancora oggi, durante i trasferimenti, tutti i detenuti viaggino sui furgoni seduti in gabbie singole e strette, guai a chi soffre di claustrofobia, con i cosiddetti schiavettoni di ferro chiusi intorno ai polsi, che torcono e stringono a ogni sobbalzo del furgone sulla strada. Ilaria Salis s’è lamentata delle condizioni di detenzione nel carcere di Budapest, il freddo in cella, le luci sempre accese, il sovraffollamento, il cibo guasto, le cimici. Siete mai stati (in visita, speriamo) a Poggioreale o all’Ucciardone, carceri di Napoli e Palermo? Vi è mai capitato di varcare la soglia e respirare il gelo invernale o l’afa estiva di Regina Coeli, il carcere della Capitale, costruito nel 1654, ristrutturato nel 1881? Avete idea di come vivono i sepolti vivi al 41 bis? No? Meglio per voi. La gran parte dei 190 istituti penitenziari italiani ha tra i 50 e i 100 anni con scarse dotazioni igieniche. Oggi ospitano 60 mila detenuti, 10 mila più della capienza massima. Vanificando la norma europea che prevede almeno tre metri quadrati di spazio vitale per ogni detenuto, un po’ meglio dei canili.

Il sovraffollamento, la scarsa qualità del cibo, l’assenza di laboratori o di attività lavorative, la difficile integrazione con i 17 mila detenuti stranieri, peggiorano di molto la qualità della vita quotidiana dietro le sbarre, che la legge vorrebbe destinata alla riabilitazione. Moltiplicano la fatica della convivenza le tensioni, la violenza contro sé stessi - 84 suicidi nel 2022, un record - qualche volta quella della Polizia penitenziaria, come mostrano le scene di botte selvagge registrate nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, aprile 2020, 40 agenti indagati per violenza, una ventina oggi a processo. Bene protestare contro le carceri e le detenzioni allestite dal presidente Orbán, il secondino dell’Ungheria. Male infischiarcene dello specchio che ci riguarda.