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di Gianfranco Locci

La Stampa, 30 agosto 2024

Il 60enne sardo assolto a gennaio dopo la revisione del processo: “Oggi mi godo i piccoli momenti di vita ritrovata. Che emozione l’incontro col Papa. I risarcimenti? Tempi lunghissimi, lo Stato mi ha lasciato senza niente”. Beniamino Zuncheddu era stato condannato all’ergastolo con l’accusa di essere l’autore della “strage di Sinnai”, dove vennero assassinati tre pastori nel gennaio 1991. “Quanto mi è mancata una birra con gli amici”. L’umore è buono, l’affetto dei compaesani fa miracoli. “La cosa bellissima è che tutti sanno chi sono e mi vogliono bene, mentre io non conosco più nessuno”. D’altronde, Beniamino Zuncheddu è mancato dalla sua Burcei per 33 anni. Un’eternità. Condannato all’ergastolo con l’accusa di essere l’autore della “strage di Sinnai”, dove vennero assassinati tre pastori nel gennaio 1991, quest’uomo oggi 60enne è stato assolto lo scorso 26 gennaio per non aver commesso il fatto, dai giudici della Corte d’Appello di Roma, al termine del processo di revisione.

Beniamino, ci racconta le sue giornate da uomo libero?

“Sto facendo la vita del pensionato. Riprendere a lavorare alla mia età non è facile. Credo di meritare questo riposo. Devo ancora decidere il mio futuro. Le giornate sono sempre uguali, semplici: faccio qualche giro con gli amici, sto in famiglia”.

Cos’è la gioia, per lei?

“Stare in famiglia. Condividere anche le piccolissime cose, come un pranzo. Tutte questo mi è mancato, purtroppo”.

La normalità ritrovata è anche una birra con gli amici, al bar?

“Senz’altro, una bella “bionda” ghiacciata non deve mai mancare”.

Burcei le ha mostrato sempre vicinanza: come ha ritrovato il suo paese? Lo immaginava così?

“Burcei è cambiato tantissimo. Quando mi hanno preso era un paese diverso, oggi vedo tanti giovani che all’epoca del mio arresto non erano neppure nati. La cosa buffa è che io non conosco loro ma loro sanno tutto di me. Comunque, tutti mi vogliono bene, mi dimostrano affetto, stima e vicinanza. Questa è la cosa più bella”.

Nei giorni scorsi la visita in Vaticano, l’incontro con Papa Francesco. Cosa vi siete detti?

“È stata una giornata molto emozionante. Il Santo Padre si è ricordato di me, del nostro primo incontro avvenuto in Sardegna nel 2013. Poi, ci siamo stretti la mano e gli ho chiesto di pregare tanto per noi”.

Quali sono i suoi obiettivi, nel breve periodo? Riprendere a lavorare o prima ha altre priorità?

“Non ho ancora preso decisioni. Di una cosa, però, sono certo: prima di tutto mi voglio curare bene”.

L’accesso alle cure, in carcere, spesso non era garantito o lo era con molte difficoltà. Ecco, prima vuole badare al suo fisico e alla sua mente?

“Prima viene la salute, poi tutto il resto”.

“Io sono innocente”. È il libro scritto insieme all’avvocato Mauro Trogu. Cosa rappresenta per lei quest’uomo, che ha lottato con così tanta forza per la sua libertà?

“Mauro Trogu è stato un uomo forte. Mi ha aiutato tantissimo, ha letto tutte le carte. Per me è come un fratello, oramai. È uno di famiglia, non è solo un legale. È parte integrante della famiglia Zuncheddu”.

Con il suo libro vuole denunciare anche la difficile condizione delle carceri italiane?

“Certo, anche perché le criticità sono ovunque. Nella mia lunga detenzione ho cambiato tre strutture e ovunque ho riscontrato dei problemi. Le carceri italiane stanno esplodendo, è stato sempre così. Se parliamo di sovraffollamento, poi, posso dire che ho trascorso dieci anni e quattro mesi della mia esistenza in una condizione disumana”.

Qual è il suo sogno?

“Mi auguro solo di guarire. Sono stato sfruttato dallo Stato, che mi ha lasciato così, senza niente”.

Spera nel risarcimento?

“Quando, però? I loro tempi sono lunghissimi, mentre noi cittadini ogni giorno affrontiamo bollette e spese varie. Se qualcosa deve arrivare, almeno che arrivi quando serve”.

Nella sua nuova vita c’è spazio per la parola “perdono”?

“Sì, ho già perdonato la persona che a suo tempo mi aveva accusato. Poverino, quell’uomo è una vittima, proprio come me”.