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di Cinzia Santoro

mentinfuga.com, 9 ottobre 2023

Otto gennaio 1991, a Sinnai paese di appena tredicimila anime, nell’area metropolitana di Cagliari, in un gelido ovile in contrada Cuile is Coccus, vengono ammazzati Gesuino e Giuseppe Fadda e il loro dipendente Ignazio Pusceddu. Si salva un giovane, genero del titolare, che resta ferito. Viene riconosciuto e arrestato come autore della strage Beniamino Zuncheddu. Il testimone chiave dichiarerà di aver riconosciuto il killer in un secondo momento. Non avendo un alibi e essendo stato protagonista di una “faida” tra pastori circa l’uso dei pascoli in quel territorio, l’accusato è ancora in carcere dopo 33 anni.

Zuncheddu si è sempre dichiarato innocente. Potrebbe confessare e avere la libertà condizionale, ma preferisce urlare la sua innocenza. Le nuove indagini le riapre la procuratrice generale Francesca Nanni, tre anni fa. La stessa dichiara che ascoltando delle intercettazioni, era venuta a conoscenza del depistaggio che indirizzava verso la colpevolezza del giovane a beneficio di alcuni confidenti del giudice Luigi Lombardini, implicati nel sequestro dell’imprenditore Gianni Murgia.

Tutti i testimoni chiave vengono riascoltati davanti ai giudici della corte d’appello di Roma. Tre i punti convergenti con la tesi innocentista. Al testimone era stata mostrata una foto di Zuncheddu da un carabiniere, prima che avvenisse il riconoscimento ufficiale durante l’interrogatorio. Inoltre la strage fu compiuta nelle ore serali, al buio e quindi era impossibile vedere il volto dell’assassino. E poi Beniamino Zuncheddu non possedeva terra o bestiame, quindi non c’era alcun motivo di ammazzare i tre pastori.

Si è mobilitata l’intera comunità di Burcei, incluso il sindaco Simone Monni, tutti convinti dell’innocenza dell’uomo. Vengono organizzate manifestazioni a favore di Beniamino, ormai provato nel corpo e nello spirito dalla ingiusta detenzione. Vi partecipano numerosi esponenti del partito radicale, tra cui Gaia Tortora, figlia del compianto Enzo che fu anche lui protagonista di uno dei più scandalosi errori giudiziari italiani e Irene Testa, Garante dei diritti delle persone sottoposte a privazione della libertà della Regione Sardegna.

Abbiamo raggiunto al telefono la dottoressa Irene Testa che è anche militante e tesoriera del Partito Radicale. Conduce la rubrica Lo stato di diritto su Radio radicale ed e è autrice di diverse pubblicazioni tra cui Il fatto non sussiste Storie di orrori giudiziari.

Dottoressa Testa come sta il signor Zuncheddu?

Il signor Zuncheddu non sta bene. È chiaro che, dopo 33 anni di carcere, le intercettazioni venute fuori tre anni fa e la riapertura del processo hanno cambiato la sua prospettiva di vita. Beniamino non sopporta più la sua iniqua detenzione carceraria. Psicologicamente e fisicamente è molto provato.

Costa sta facendo per il caso?

Come ha detto il parroco di Burcei, il paese di Beniamino, Don Giuseppe Pisano, noi dobbiamo “brillare” per lui, ossia accendere un faro su questa vicenda, affinché gli errori commessi possano essere rimediati. La giustizia talvolta sbaglia ma vi è anche una parte di magistratura sana che può porre rimedio. Infatti, in questa vicenda, la procuratrice dottoressa Nanni ha portato alla luce tutti i punti oscuri del primo processo e ne ha richiesto l’apertura. Dobbiamo aiutare Beniamino a fare in modo che i giudici, che in questo momento si stanno occupando della sua vicenda giudiziaria, possano arrivare alla conclusione in tempi rapidi. La revisione del processo è in piedi da tre anni e questo tempo è stato impiegato a trascrivere le intercettazioni che in parte erano in dialetto sardo. Le intercettazioni a favore della piena innocenza di Beniamino e la prova labile con cui il signor Zuncheddu fu condannato, depongono all’assoluzione piena dopo 33 anni di ingiusta detenzione.

Come mai i tempi della giustizia sono così lenti?

Dobbiamo continuare ad avere fiducia nella giustizia. Purtroppo i tempi della giustizia sono lenti e questo lo denunciamo da sempre anche come Partito radicale.

I nostri tribunali sono invasi da procedimenti civili e penali che occupano le scrivanie dei giudici mentre il cittadino ha bisogno di una giustizia rapida. Occorrerebbe comunque una riforma urgente della giustizia, per tutti i cittadini che ogni anno vengono arrestati e condotti in carcere in attesa di giudizio e per tutti i detenuti innocenti come il nostro Beniamino Zuncheddu.

La giustizia è la madre di tutte le riforme. basti pensare che la carcerazione preventiva nel nostro paese conta nel totale, tra primo e secondo grado di giudizio, 22 mila persone senza condanna definitiva ospitate le nostre carceri. una vergogna assoluta, spesso protratta per mesi e anni ai danni di donne e uomini, di corpi ammassati all’interno delle nostre galere, che aspettano un giudizio. È dimostrato che oltre il 15% risultano poi innocenti. Uomini che vengono considerati niente di più che fascicoli di carta o semplicemente un numero di matricola. Intere famiglie vengono lasciate nel limbo, nella sofferenza e nell’ attesa. esasperati da un magistero, quello della giustizia che dovrebbe essere quello più vicino ai cittadini. Invece i cittadini di quel magistero hanno paura. Da anni come Partito Radicale ci logoriamo nel chiedere alla politica non solo di trovare il coraggio di riformare la giustizia ma almeno di dibatterne. Invece questo dibattito è sempre rimasto ai margini.

I cittadini italiani hanno il diritto di pretendere una giustizia che funzioni improntata davvero su principi garantisti come la Costituzione ci consegna, perché potrebbe capitare a tutti di essere potenziali vittime di leggi che non funzionano e di indagini viziate o viziose e di venire ingiustamente incarcerati.

Le stime di chi studia il fenomeno ci dicono che ogni 8 ore una persona finisce ingiustamente in carcere per un totale di 3 persone al giorno, di 1.000 ogni anno, con un costo che non è solo umano ma anche economico che lo Stato italiano paga con i soldi dei contribuenti italiani. E su questo per sapere con precisione l’ammontare totale della spesa, oggi sappiamo che un giorno di carcere costa allo Stato 230 euro e un giorno ai domiciliari circa 117 euro ma per avere il totale e un quadro completo che si otterrebbe solo attraverso il Mef che si occupa dei risarcimenti veniamo a sapere che il Ministro dell’Economia e delle Finanze non può fornire i dati che vanno dal 2015 al 2020 perché questo richiederebbe uno sforzo immane e manderebbe in tilt il lavoro del ministero che non ha le risorse umane a disposizione. La conseguenza è che abbiamo milioni di documenti mai digitalizzati, non esiste un database e quindi i documenti sono sparsi qua e là all’interno di fascicoli di pagamento. Ecco quanto vale la vita di un uomo che magari prima di prendere quel risarcimento è morto.