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di Ilaria Sacchettoni

Corriere della Sera, 15 marzo 2024

“Voglio imparare a usare il cellulare” dice ora. Mica facile per chi è entrato in carcere nel 1991. Prima di Mani pulite. Dieci anni prima dell’attacco alle Torri Gemelle. Durante l’invasione del Kuwait, quando George Bush senior pensò di poter umiliare Saddam Hussein bruciando i suoi pozzi. Trentatré anni dopo eccolo qui il pastore dalle due vite. Beniamino Zuncheddu da Burcei. L’assoluzione, dopo trentatré anni di carcere da innocente (il 26 gennaio scorso), ne fa una leggenda tutta sarda. I bambini del paese lo cercano per un selfie. Il sindaco, Simone Monni, lo chiama. Il parroco, don Giuseppe Pisano, lo cita dal pulpito quale esempio di mite costanza. La gente lo ferma anche solo per chiedergli come sta, che progetti gli frullano in testa, quale legge interiore lo abbia tenuto vivo durante il carcere.

Un uomo stanco - Detenuto modello del famigerato penitenziario di Uta, capace di rispettare le regole quanto e più di un carabiniere, oggi Zuncheddu appare stanco. La lunga marcia verso la verità lo ha indebolito: “Sono stato da un professorone a Cagliari” confida al telefono. “Ho avuto una semi paresi e l’occhio non vede bene. Mi ha dato gli antibiotici intanto poi si vedrà...” Torna allora a parlare del suo cellulare fiammante, un regalo di Augusta, sorella e quasi alter ego. “Sai che sono su Facebook?” sorride, soddisfatto, dal divano di casa. È vero. La vita punto.com di quest’uomo senza rancore è iniziata dopo l’assoluzione: “Mia nipote” spiega “mi sta insegnando a rispondere ai messaggini ma non è facile. Ho iniziato tardi...” Cellulari. Ipad. Beniamino, 60 anni, le lancette dell’istruzione ferme alla seconda media, deve ancora familiarizzare con questi oggetti venuti da un inaspettato futuro. Piovono cuoricini sul suo profilo. Si moltiplicano i like. L’innocenza all’epoca di X esige però familiarità con le tecniche di comunicazione. E lui deve ancora imparare.

Arrestato, condannato, detenuto, ha scontato la pena per una strage che non avrebbe mai potuto commettere. Il massacro di Su Enazzu Mannu a Sinnai (Cagliari) avvenuto l’8 gennaio 1991 ad opera di un killer dal braccio allenato: tre morti e un sopravvissuto divenuto in seguito supertestimone. Lui, Zuncheddu, non sapeva sparare. Mai stato neppure a caccia. Di più: già esonerato dal servizio militare per un problema alla spalla destra, non poteva poprio imbracciare un’arma. Eppure fu indicato come l’abilissimo assassino che quella sera fece fuoco su quattro persone, quasi in simultanea. In una lacunosa testimonianza il sopravvissuto Luigi Pinna lo additerà come il killer di Sinnai anche se, indagini difensive e verifiche successive, hanno fatto emergere la verità. Pinna fu pilotato dal poliziotto Mario Uda che gli mostrò la foto del pastore di Burcei, influenzandolo. L’unica testimonianza a carico di Zuncheddu era stata creata a tavolino. L’ex poliziotto, divenuto poi investigatore privato, non ha mai voluto rilasciare interviste su quel caso che lo impegnò brevemente nel 1991.

Tutti, ora, cercano Beniamino. Quasi un collettivo, impellente bisogno di domandare scusa. Che è povuta, ovviamente, nel pieno della campagna elettorale per l’elezione del nuovo governatore sardo: “Anche Tajani” confida lui “mi ha cercato ma ho dovuto dire no perché non ce la facevo a raggiungere Nuoro: troppo faticoso e non mi sentivo bene...” Il ministro degli Esteri ha dovuto rinunciare a stringere la mano del pastore di Burcei. “Mi arrivano lettere dalle comunità sarde di tutta Europa: ne ho ricevute da Londra, dalla Francia e dalla Germania. Tutti tifano per me” ride lui, pastore per sempre.

Ci sarà il tempo per riflettere anche su questo, intanto Beniamino annuncia un libro: un racconto autobiografico scritto assieme al difensore, Mauro Trogu, sarà pubblicato a breve per De Agostini. In quelle pagine si parlerà ad esempio di sua sorella Augusta. Domestica, allevatrice. Due figlie e il dolore affrontato a mani nude, con l’aiuto di una fede casalinga fatta di santini e qualche sassolino tolto dalle scarpe al momento giusto. Augusta sospira e Beniamino sottolinea: “Sono stato sepolto in un pozzo, quello del carcere per trentatré anni. Se non fosse stato per mia sorella una volta uscito sarei stato un barbone, senza un tetto né un tozzo di pane. Che giustizia è?”. Verrà il momento di analizzare anche il lato pratico dell’esistenza di un innocente. Appare più che probabile una richiesta di risarcimento da parte del pastore di Burcei. Questo non vuol dire che arriverà (sempre che arrivi) in tempi ragionevoli.

Un’altra inchiesta - Il procuratore generale di Cagliari, nei giorni scorsi, ha trasmesso gli atti alla Procura, incluse quelle intercettazioni che hanno rivelato l’innocenza di Beniamino e l’influenza di Uda su Pinna. Il procuratore capo Rodolfo Sabelli ha in mente di riaprire l’inchiesta sul massacro del 1991. Zuncheddu sarà ascoltato quale testimone dei fatti. La pista più accreditata, ora, è che quei morti fossero collegati al rapimento di un imprenditore della zona, un sequestro, quello di Giovanni Murgia, che si risolse con il pagamento di 600 milioni di lire. Tutti in paese ne parlarono. Tutti sembravano sapere. In via ipotetica le vittime dell’eccidio - Gesuino Fadda, suo figlio Giuseppe e il loro pastore Ignazio Pusceddu - avrebbero avuto informazioni sugli autori di quel rapimento che portò con sé una coda avvelenata di sospetti e polemiche. Scrivono Trogu e la garante dei diritti dei detenuti della Sardegna Irene Testa nel loro libricino sulla vicenda L’ergastolano e l’avvocato pubblicato dalla fondazione Marco Pannella: “Leggendo le carte sorge il fortissimo dubbio che Beniamino fosse un povero capro espiatorio sacrificato per evitare che si scoprisse che quegli omicidi erano collegati a un sequestro di persona per il quale anni dopo verranno condannati alcuni importanti confidenti del giudice Luigi Lombardini (il noto magistrato impegnato nella lotta al banditismo sardo, ndr)”. Nessuno indagò quella pista e il massacro di Sinnai fu ricondotto a tutt’altro movente. Si disse che era una guerra per ragioni pastorali, di puro predominio della zona. Ad esempio restò fuori dal perimetro investigativo la lunga deposizione di Murgia che, una volta recuperata la sua libertà, testimoniò una serie di circostanze utili a individuare la banda dei rapitori.

Lo scenario che assolve definitivamente Beniamino implica nuove, complesse ricerche se si considera il tempo trascorso. Zuncheddu sarà ascoltato come persona informata sui fatti dai magistrati. Sull’argomento preferisce non dire ma ripete quello che ha già scandito nel corso della conferenza stampa organizzata dal Partito radicale all’indomani dell’assoluzione: “Le accuse contro di me erano un castello di sabbia” dice “ma hanno retto più del previsto. Non provo rabbia perché so che la rabbia fa male a sé stessi e non voglio soffrirne però penso ci sia stato un complotto contro di me”. Certo, si è trattato di un caso di enorme clamore. “Vespa mi ha invitato a parlarne, forse andrò a Roma per una intervista” sorride.

Il presente è scandito da lunghe camminate, affrontate quasi sempre con amici e parenti: “Sogno la campagna o la montagna, basta che sia natura a me va tutto bene” fa sapere. Respira. Come non accadeva da tanto. Il sabato qualche pizza con amici. La domenica il pranzo in famiglia. Il resto della settimana scorre quieto come i sonnellini dopo pranzo: “La cosa più importante ora è curarmi” dice. Non solo nel corpo ma forse anche nello spirito.