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di Massimo Nerozzi

Corriere di Torino, 14 giugno 2023

Non tutti i soprusi in carcere sui detenuti sono “tortura” - giuridicamente - e per questo i reati che stanno al confine, come l’abuso di autorità, dovrebbero ricevere “un trattamento sanzionatorio più severo”, tale da consentire l’applicazione di misure cautelari: è la riflessione contenuta nell’ordinanza del tribunale del Riesame che ha annullato la sospensione dal servizio di 23 agenti del carcere di Biella, indagati per tre episodi di maltrattamenti “fisici e psicologici”.

Esaminato il caso, il discorso dei giudici vira sul senso del reato di “tortura”, appunto, entrato nell’ordinamento italiano nel 2017. Di sicuro ha un “importante e positivo valore culturale - osservano - nonché una chiara finalità general- preventiva”, perché le divise “non possono rendersi responsabili di atti che offendano grandemente e arbitrariamente la dignità dell’individuo”, quali che siano le sue colpe e lo spessore criminale. C’è un ma: non tutto può essere definito “tortura”. Ecco dunque l’invito a inasprire le sanzioni per altre fattispecie. Morale: le violenze sui detenuti da parte degli agenti della polizia penitenziaria devono essere punite, se non rientrano nei casi di tortura, con pene più alte.

L’occasione per questa valutazione sono i maltrattanti avvenuti nell’istituto penitenziario di Biella, lo scorso anno: c’è la storia dell’albanese malmenato, ammanettato e legato con il nastro isolante, del pestaggio di un georgiano, delle manganellate a un nordafricano. Ogni volta - secondo la ricostruzione delle difese -si trattava di placare dei reclusi intemperanti, minacciosi o addirittura pericolosi. Ma l’analisi minuziosa di quanto accaduto rivela, secondo gli investigatori, che gli uomini in divisa hanno tragicamente esagerato. Per dire, si legge negli atti, il loro vicecomandante - all’epoca messo agli arresti domiciliari e non interessato da questo passaggio davanti al Riesame - aveva metodi anacronistici”, “rudimentali” e “spicci” per mantenere l’ordine all’interno del carcere. Però, anche se i reati sono stati commessi, per il collegio presieduto dal giudice Stefano Vitelli, non sono delle vere e proprie “torture”. Al massimo si può parlare di “abuso di autorità”, che prevede fino a trenta mesi di reclusione e, quindi, non permette l’applicazione di provvedimenti interdittivi.

Di conseguenza, la decisione del Riesame: “a prescindere da ogni considerazione di merito sul contributo (materiale, morale, di primo o secondo piano) del singolo indagato”, la sospensione dal servizio va annullata. L’ordinanza è stata depositata a palazzo di giustizia nel giorno in cui il sindacato di polizia penitenziaria Osapp denuncia “il triste record di 17 aggressioni subite e altrettanti agenti feriti in meno di un anno” nel carcere torinese delle Vallette. L’ultima è quella a un poliziotto, finito al pronto soccorso dopo essere stato preso a pugni al volto da un detenuto.