sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Patrizia Maciocchi

Il Sole 24 Ore, 22 giugno 2023

Mezzi eccessivi e inutilmente violenti, ma orientati a contenere i detenuti in grave stato di alterazione non ad umiliarli. Condotte dei pubblici ufficiali che dovrebbero comunque essere punite più severamente. Nel carcere di Biella lo scorso febbraio, per contenere tre detenuti stranieri in grave stato di alterazione, sono stati usati mezzi impropri eccessivi e inutilmente violenti, ma non si è trattato di tortura.

Perché possa scattare il reato, introdotto in Italia solo nel 2017, nella forma della tortura cosiddetta di stato, è, infatti, necessario che le condotte siano state messe in atto dai pubblici ufficiali in maniera gratuita, per umiliare la persona, trattandola al pari di una cosa, offendendo così in modo ingiustificato e significativo la sua dignità.

Con queste motivazioni il Tribunale del riesame di Torino, annulla le misure cautelari, nei confronti di alcuni agenti della polizia penitenziaria di Biella, disposte, in esecuzione di un’ordinanza del gip, per il fumus del reato di tortura di stato. Il gip, su richiesta dei pm, aveva, infatti, ordinato l’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari a carico del vicecomandante pro-tempore, riservandosi, all’esito degli interrogatori, sull’applicazione delle richieste di misure interdittive nei confronti di altri ventisette agenti coinvolti.

Mezzi eccessivi ma non finalizzati all’umiliazione - Nel mirino della procura era finito il trattamento riservato a tre “nuovi arrivati” nel carcere biellese, uno dei quali immobilizzato con del nastro adesivo, oltre che con le manette, privato dei pantaloni e picchiato. Misure giudicate eccessive anche dai medici, chiamati dagli stessi agenti penitenziari. Azioni che, precisano i giudici Torinesi nell’ordinanza, integrerebbero i trattamenti inumani e degradanti puniti dal reato di tortura, se fossero messi in atto in un contesto “oggettivamente e soggettivamente teso ad umiliare la persona offesa a deriderla per una situazione che obiettivamente la mortifica ad un livello di res (non ha caso si dice “legato come un salame”). Nello specifico però il detenuto si trovava in uno stato di grave alterazione psico-fisica dovuta anche ad una crisi di astinenza e aveva assunto un comportamento aggressivo e autolesionista, battendo più volte la testa contro il muro.

Pene più dure per reati contigui - Abbandonata dunque l’ipotesi della tortura il Tribunale del riesame non esclude i reati di lesioni e abuso di autorità. Ma va oltre, Sottolineando l’importanza culturale e di efficacia general/preventiva della norma che ha introdotto il reato di tortura.

Proprio nel rispetto della ratio della legge, sarebbe più che opportuno che fattispecie contigue alla tortura di Stato e deputate a punire abusive inammissibili condotte violente da parte dei pubblici ufficiali, come è l’abuso di autorità, fossero punite in modo più severo di quanto avviene attualmente. Comunque “in maniera tale da consentire l’irrogazione per i responsabili non solo di sanzioni disciplinari, ma anche dell’applicazione di misure cautelari fra cui, appunto, quelle interdittive”. Perché - concludono i giudici - in carcere si va perché si è puniti non per essere puniti.