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di Rosario Di Raimondo

La Repubblica, 12 dicembre 2022

La direttrice della Dozza Rosa Alba Casella: “Dobbiamo migliorare le condizioni di vita dei detenuti. Vorrei creare più posti di lavoro e aumentare la presenza dei medici”.

Prevenire i suicidi. Creare nuovi posti di lavoro. Aumentare la presenza di medici. Diminuire l’uso (e l’abuso) di psicofarmaci. In una frase: “Migliorare la condizione di vita dei detenuti”, è l’ambizione di Rosa Alba Casella, direttrice del carcere Dozza, da meno di un anno alla guida di un istituto penitenziario afflitto da diversi problemi a partire dal sovraffollamento: 750 persone recluse a fronte di una capienza che dovrebbe oscillare tra 400 e 450 posti. In queste settimane, i vertici della casa circondariale e quelli dell’Ausl si sono incontrati per studiare un piano su più fronti. Al primo punto c’è la prevenzione dei suicidi e dei gesti autolesivi. “Serve la sorveglianza ma non solo, bisogna creare condizioni favorevoli attorno alle persone per aprire spiragli, per evitare che pensino che la morte sia l’unica via d’uscita dalle difficoltà. Bisogna creare condizioni di maggior benessere. Da soli non potremmo farlo”.

Qui entra in gioco l’Ausl con Fabio Lucchi, direttore del dipartimento di Salute mentale: “Stiamo studiando una serie di progetti sulla prevenzione non solo sotto la lente psichiatrica ma immaginando azioni concrete: attività fisica, lavorativa, formazione”. Dal punto di vista del rischio dei suicidi, “è stato creato uno staff con tutte le componenti del carcere per valutare le situazioni più critiche. Grazie a un finanziamento che abbiamo recuperato, potremo garantire più personale, attività riabilitative, ore di psichiatria. Ma non pensiamo che una risposta totalmente “psichiatrizzante” sia quella corretta. Anzi, stiamo ragionando anche su un protocollo per l’appropriatezza delle terapie, con l’obiettivo di non ricorrere ai farmaci che, potenzialmente, possono portare a un abuso, e spiegando le ragioni agli stessi detenuti”. “Il lavoro che è stato fatto per togliere gli psicofarmaci è importante - prosegue la direttrice Casella - c’è chi tende a stordirsi per passare il tempo della carcerazione senza pensare”.

Cristina Maccaferri, dell’Ausl, spera anche di ampliare l’organico attuale di 21 medici che a turno visitano alla Dozza, anche grazie “a un accordo sulla medicina penitenziaria per rendere più attrattiva questa scelta con una modifica della remunerazione. Ma non c’è solo l’aspetto economico: bisogna sostenere chi fa questa scelta”.

Carcere: ipotesi call center per dare lavoro

Casella ha anche altre idee. “Il tentativo è rendere l’ambiente più vivibile, affrontando il tema della salute - che non significa solo assenza di malattia - a 360 gradi. Il carcere è un contesto critico, stiamo cercando di lavorare sull’ambiente perché diventi più sano, perché il tempo di detenzione sia pieno, ricco. Abbiamo la scuola, il polo universitario, l’azienda “Fare impresa in Dozza”. Ma i bisogni sono molti di più. Vorremmo lavorare su progetti comuni: lavoro, iniziative culturali, scambi con l’esterno. Mi piacerebbe aprire un’altra attività, stiamo pensando a un call center”. Su cosa servirebbe dentro il carcere, è interessante ascoltare le parole di Federico Boaron, coordinatore dell’équipe psichiatrica della Dozza e del minorile del Pratello: “Se avere più psichiatri significa dare più medicine, rispondo che non è così che possiamo affrontare il problema. A memoria, non ricordo tentativi di suicidio o di autolesioni nei detenuti che lavorano”.

Sovraffollamento e una lunga scia di tentati suicidi - L’ultimo suicidio lo scorso settembre: un uomo di 53 anni si impiccò nel reparto di infermeria della Dozza con i pantaloni della tuta. E poi una lunga scia di tentati suicidi, spesso sventati dagli agenti di polizia Penitenziaria, come il caso di un quarantenne salvato lo scorso ottobre. Ma i tentativi sventati di togliersi la vita “posso dire che sono stati tanti”, spiega la direttrice del carcere, ed è stata “preziosa l’attenzione degli operatori per riuscire a intercettare prima i casi”, mentre da tempo i sindacati dei poliziotti chiedono una maggior presenza di medici dietro le sbarre. Nella casa circondariale, su 750 detenuti, il 50% è composto da persone straniere (le nazionalità più rappresentate sono Marocco e Tunisia), mentre nel reparto penale ci sono un centinaio di detenuti definitivi. Le donne nella sezione femminile sono 76 e in questo momento non ci sono mamme con bambini piccoli. Oltre al sovraffollamento cronico del carcere, ci sono “deficit strutturali” importanti.