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Il Resto del Carlino, 11 agosto 2023

I soccorsi erano arrivati subito, ma la lettiga con l’uomo non riusciva a passare tra i cancelli. Per ‘liberarlo’ sono dovuti intervenire i vigili del fuoco con una barella speciale: lo hanno caricato a spalla. Tre ore, dalla chiamata al 118 all’arrivo in ospedale. Che un carcere abbia barriere è fisiologico. Ma che queste impediscano o ritardino in maniera pesante il soccorso ai detenuti, è un problema che va preso in mano e risolto.

L’altra sera, intorno alle 21, un quarantaquattrenne albanese dell’Alta sicurezza, detenuto in attesa di giudizio, si è sentito male. L’ipotesi, una sospetta trombosi a una gamba. Immediatamente i poliziotti della penitenziaria hanno allertato il medico di turno. E quest’ultimo, visto che la situazione era seria, ha chiamato il 118, perché l’uomo andava portato in ospedale. L’ambulanza è arrivata in pochi minuti alla Dozza. È quello che è accaduto dopo, che è stata un’odissea.

Il quarantaquattrenne non poteva camminare. Ed essendo alto più di un metro e 90, per un peso di circa 170 chili, il suo trasporto non era certo semplice. Ma il problema reale è stato che la lettiga, su cui il detenuto, molto sofferente, era stato caricato, non riusciva a passare per i cancelli. L’uomo si trovava al terzo piano. Impossibile farlo scendere. Un’altra ambulanza è arrivata per cercare di sbloccare la situazione. Nulla.

Alla fine sono stati chiamati i vigili del fuoco: due le squadre speciali intervenute, che hanno caricato di peso il quarantaquattrenne su una barella basket, in cui l’uomo entrava a malapena. In questo modo, portandolo a spalla per tre piani, i pompieri sono riusciti a far arrivare all’ambulanza il malato, che è stato finalmente trasportato al Maggiore, da cui è stato dimesso ieri. Tra i tentativi andati a vuoto e il complesso intervento per portare fino all’ingresso il detenuto, era intanto passata la mezzanotte. Una trentina gli operatori, tra sanitari, agenti di penitenziaria e vigili del fuoco impegnati nel soccorso. Se l’uomo l’altra sera fosse stato colto da un infarto, anziché da una trombosi, adesso sarebbe l’ennesimo detenuto morto alla Dozza. “Il carcere si dimostra, ancora, lo strumento che la società utilizza per confinare i più poveri - commenta Nicola D’Amore della Cisl -. Uno strumento inadeguato, dove le barriere architettoniche rischiano di far diventare la prigione una tomba”.