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di Paola Laghi

settesere.it, 15 dicembre 2023

Quando pensiamo alle carceri in Italia ci viene in mente sempre un istituto maschile, mai femminile. Su un totale di 56.319 detenuti (dati aggiornati al 28 febbraio 2023) le donne sono 2425. A Torino le donne carcerate sono 78 di cui 3 nell’ultimo anno si sono tolte la vita. Donatella, 27 anni, colpevole di alcuni reati minori, da mesi chiedeva la possibilità di vedere suo figlio di 4 anni, autistico, richiesta che nessuno ha ascoltato. Il suo è un caso emblematico di un problema che persiste da anni nelle carceri, infatti secondo Federico Amico, presidente della Commissione assembleare per la parità e per i diritti delle persone, “le donne detenute vivono in un contesto che non riconosce i bisogni e le singolarità, in quanto costruito in base a istanze maschili”.

Delle quasi 2.500 donne carcerate in Italia, 153 sono in Emilia Romagna, in una delle cinque sezioni femminili presenti nelle carceri della regione: Bologna (78 donne), Forlì (17), Modena (32), Piacenza (16) e Reggio Emilia (10). Anna Rita di Marco è attiva in Avoc, Associazione volontari carcere, alla casa circondariale bolognese della Dozza, dove riferisce la scarsa presenza di neuropsichiatri e psicologi, al punto che non tutti i detenuti riescono ad accedere con regolarità ai colloqui terapeutici, che spesso si limitano a uno al mese, soprattutto a causa di lungaggini burocratiche.

Nel penitenziario bolognese la sezione femminile si articola in due bracci: in uno vi sono le detenute in attesa di giudizio, mentre nel secondo quelle che hanno una pena da scontare. Il carcere presenta anche un reparto psichiatrico e uno dedicato alla maternità. Pochissime donne decidono di tenere con sé il proprio figlio, la maggior parte preferisce affidarlo alla famiglia d’origine ma, quando non hanno questa possibilità, lo tengono con sé in un ambiente adeguato per la crescita del bambino, che Avoc è riuscita ad allestire all’interno della struttura. Le madri generalmente vengono avviate a forme di pena alternative, o presso case famiglia o negli Icam (istituti a custodia attenuata per detenute madri). In altri casi, se la pena lo permette, madre e figlio vengono accolti in istituti religiosi. Un altro aspetto di cui l’associazione si occupa è la gestione della comunicazione tra famiglia e detenuto: due volte all’anno viene organizzata la festa della famiglia, durante la quale è possibile incontrarsi. Oltre alle chiamate telefoniche, dal periodo pandemico, sono state introdotte anche videochiamate.

Avoc, infine, opera nell’ambito della reintroduzione in società dei detenuti, grazie ad alcuni alloggi dove gli ex carcerati, ancora sprovvisti di una sistemazione, possono abitare. Ricominciare significa trovare anche un’occupazione tra persone libere. I detenuti iniziano a darsi da fare già in carcere in attività di diverso tipo e Avoc si interfaccia con lo sportello comunale del lavoro, per favorire il loro reinserimento nella società civile. Per le donne propone attività prevalentemente di cucito, per fare acquisire una manualità da impiegare poi nel laboratorio di sartoria Gomito a Gomito, collocato all’interno della casa circondariale e gestito dalla cooperativa Siamo Qua, che conta su soci volontari e lavoratori stipendiati. Sono possibili anche mansioni legate alle pulizie, alla cucina, alla distribuzione del vitto e degli acquisti personali, alla gestione del magazzino, retribuite dal carcere, a cui le detenute possono accedere a turno. Al momento gli uomini hanno maggiori possibilità di reinserimento perché, nonostante la loro condizione giuridica, possono apprendere più mestieri e svolgere lavori come l’operaio metalmeccanico, l’imbianchino, l’elettricista e il falegname.