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di Francesco Betrò

Corriere della Sera, 27 giugno 2022

Presentato l’esito del progetto che con il coinvolgimento dei colossi della meccanica Gd, Marchesini, Ima e della Faac aiuta al reinserimento lavorativo. Spesso il carcere non assolve la funzione rieducativa stabilita dalla Costituzione.

Esistono, però, degli esempi virtuosi che fanno eccezione. È il caso di Fare impresa in Dozza (Fid), il progetto nato nell’omonima casa circondariale bolognese che offre una misura alternativa alla reclusione attraverso l’inserimento dei detenuti nel mondo del lavoro. Per celebrare i dieci anni dell’attività, si è svolto nell’aula bunker della Dozza il convegno “Perché ne valga la pena, esperienze di reinserimento”.

Il progetto per il reinserimento lavorativo e i suoi dieci anni - Secondo Rosa Alba Casella, direttrice del carcere, sono “dieci anni di un’esperienza molto positiva perché, come diceva l’ex presidente Minguzzi, ha dato un orizzonte a chi l’orizzonte l’avevo perso. Fid ha consentito ai detenuti che in questi anni si sono avvicendati nei laboratori non soltanto di conseguire competenza tecniche, ma anche di abituarsi a lavorare in gruppo, a relazionarsi correttamente.

È molto più di un’opportunità lavorativa, è un progetto che crea un collegamento tra dentro e fuori. I percorsi di socializzazione sono efficaci solo quando interno ed esterno collaborano insieme”. L’impresa sociale Fid srl nasce dall’unione di tre giganti del packaging - Gd, Ima e Marchesini Group, a cui negli ultimi anni si è aggiunta Faac - con l’obiettivo di fornire, attraverso la realizzazione di lavori di carpenteria, assemblaggio e montaggio di componenti meccanici, un’opportunità di lavoro stabile e duraturo. Non solo dentro il carcere, ma anche fuori.

Cinquanta persone riavvicinate al lavoro - Non tutti i detenuti, però, possono prendervi parte: “normalmente - spiega il presidente del Fid Maurizio Marchesini - scegliamo persone con pene abbastanza lunghe, che poi spesso hanno dei benefici e quindi possono uscire in regime di semi-libertà prima della scadenza della pena. In questo momento abbiamo tra le 14 e le 15 persone. In tutto, dall’inizio abbiamo portato circa 50 persone al lavoro”. Numeri importanti, ma che da soli non possono bastare. La pensa così l’arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, intervenuto all’incontro insieme a Mauro Palma, Garante azionale dei diritti delle persone private della libertà personale.

Il monito di Zuppi: “Poche iniziative in carcere” - Secondo Zuppi “ci sono troppe poche iniziative, non ci dovrebbe essere un solo detenuto che non abbia un progetto su di sé perché altrimenti il carcere è soltanto punitivo. La società civile deve permettere una funzionalità migliore del sistema carcerario. Fa parte di una responsabilità comune. Dobbiamo ricordarci che con poco possiamo fare molto e tutti dobbiamo fare qualcosa”.

Non solo dentro il carcere, ma anche quando i detenuti escono perché, dice il presidente di Fid, “le vere difficoltà sono quando i ragazzi escono: noi li assumiamo nella filiera delle nostre imprese, però dopo tanti anni il mondo è cambiato”. Oltre allo stigma che la società gli affibbia in quanto ex detenuti, queste persone spesso perdono le reti sociali che avevano prima di entrare in carcere, come amici e famiglia, e rischiano di trovarsi senza una casa. Nonostante ciò, anche grazie all’inserimento lavorativo, il tasso di recidiva di chi sta dentro Fid è molto basso, “il 14%” secondo Marchesini.

Abbattimento della recidiva per la misura alternativa - Come ha ricordato padre Giovanni Mengoli, presidente del Gruppo Ceis, durante l’inaugurazione della Casa di accoglienza Don Giuseppe Nozzi in zona Corticella, “le cifre ormai note dell’abbattimento della recidiva del reato per chi sconta la pena in misura alternativa (il 16-20% contro il 66-70% circa di chi sconta la pena interamente in carcere) dovrebbero motivare la realizzazione di opportunità di accoglienza come questa”. Anche perché “con l’accoglienza in misura alternativa si ottiene una drastica riduzione dei costi, pari a circa due terzi rispetto alla detenzione”. All’inaugurazione c’era anche il sindaco Matteo Lepore: “Questo è un luogo di vita e di cittadinanza. Non offre solo un tetto alle persone ma la possibilità di incontrarsi e lavorare insieme. Grazie per questa realtà a cui date vita”.