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di Massimo Marino

Corriere di Bologna, 28 gennaio 2024

Dionigi: “I classici insegnano a uscire dal male”. Lucrezio dietro le sbarre. La religione della libertà del grande scrittore epicureo, autore del De rerum natura, poema che rivela le mistificazioni della superstizione, varca i confini della Dozza. Lo porta domani alle 11 l’ex rettore Ivano Dionigi, da sempre studioso del poeta e del suo messaggio rivoluzionario. Partecipa a un incontro con i detenuti organizzato dal Circolo lettori del carcere, animato dalla professoressa Paola Italia e da alcuni volontari che impegnano un gruppo di detenuti nella discussione di un libro al mese, con un successivo incontro aperto al pubblico (martedì 30 alle 17.30 in Salaborsa Lab di vicolo Bolognetti). Dionigi parlerà della traduzione di Milo De Angelis di Lucrezio e porterà in omaggio ai detenuti la sua ultima fatica, L’apocalisse di Lucrezio (Raffaello Cortina editore).

L’illustre classicista ha da poco tenuto una lectio magistralis alla Camera dei deputati. “C’erano - ci racconta - insegnanti, politici, sindaci e ex sindaci. E c’era il presidente Mattarella, che alla fine è venuto a salutarmi. Il titolo del mio discorso era “Perché bisogna tornare a scuola”. Ho trattato di come sia necessario superare la cultura dell’eterno presente e ricomporre le due culture, quella tecnico-scientifica e quella umanistica. Il vero nocciolo duro del sapere, senza il quale serve a poco anche l’intelligenza artificiale, è il sapere umanistico, capace di parlare al cuore e al cervello”.

Alla Dozza era già entrato come rettore e dopo la pandemia: “Sono stati sempre momenti intensi. Ascolterò i detenuti e parlerò del mio Lucrezio, dicendo le stesse cose che dico in altre sedi. Sarebbero impropri e avvilenti un Lucrezio “per carcerati” o una letteratura per carcerati. Ricorderò come la lettura ampli gli orizzonti, renda liberi. Un libro ti fa evadere dalle angustie della vita normale, e a maggior ragione apre le mura del carcere”. E Lucrezio aggiunge qualcosa: “Egli abbatte i luoghi comuni: la religione olimpica, falsa, macchiata del sangue delle vittime; la smania per il negotium, per la politica, fonte di ogni male. Per Lucrezio l’uomo deve coltivare l’otium; l’unica ars è la sapienza, fare i conti con sé stessi. Il suo poema vuole educare a un mondo nuovo”. Quale può essere la lezione di queste idee in carcere? “La forza dei classici è la capacità di porre le domande ultime e penultime, senza fornire risposte. Essi sanno entrare nel male e insegnano a uscirne. Un’altra volta che fui alla Dozza vidi una ragazzina dal volto dolcissimo e seppi che aveva ucciso la figlia piccola. Se avesse conosciuto la storia di Medea… I precedenti letterari possono curare la depressione, la follia, scampare dall’abisso che travolge”.

Il professore ha fiducia nella rieducazione: “Dobbiamo ostinatamente e disperatamente credere nella persona. Queste azioni culturali in luoghi di pena hanno un grande senso e fanno bene anche a chi arriva dall’esterno, lo ridimensionano. Dobbiamo recuperare il logos, in questi tempi di superficialità e di ferocia: altrimenti, pur se in giacca e cravatta, torneremo a camminare a quattro zampe, come le belve”.